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Archive for the ‘Musica e Poesia’ Category

Risultati immagini per cile sapevi di me

La canzone più famosa
del cantautore liveronese “Il Cile”
è “Cemento Armato”; per carità, bellissima,
ma io amo molto di più “Sapevi di me”,
sarà che parla di una storia d’amore tormentata
(sono quelle che preferisco),
sarà che sono pensieri in libertà a mente fredda,
non so dire esattamente il perché,
ciò di cui sono però certo è che c’è
un preciso verso, sul finale,
che mi fa impazzire e riflettere un botto:

“Dimmi […] se davvero ci siamo battuti per qualcosa che poteva durare”.

Tutte le storie d’amore si reggono su questa frase.

È quello che ci domandiamo prima di iniziarle,
quello che continuiamo a domandarci durante,
e quello che però non abbiamo mai il coraggio
di domandarci quando queste storie finiscono.

Se ne valeva la pena,
se tutte le difficoltà che si sono affrontate
avrebbrero potuto portare a qualcosa
o se invece era tutta una perdita
di tempo sin dal principio.

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https://i0.wp.com/www.comingsoon.it/imgdb/PrimoPiano/impaginate/Freeheld_poster_italiano_.jpg

Un mesetto fa vidi “Freehelders”,
un film molto toccante e attuale,
ora come non mai.

Racconta la storia reale di Laurel Hester (Julianne Moore),
detective della polizia, e la compagna, Stacie Andree (Ellen Page),
meccanica di auto del New Jersey,
che intraprendono una dura battaglia per assicurare
a Stacie i benefit pensionistici di Laurel,
dopo che a questa è stata diagnosticato un cancro.

Voglio condividere con voi il discorso
con cui Laurel chiede ai giudici parità di diritti:

«Buon pomeriggio Freehelders, ho lavorato per la polizia di Ocean County per 23 anni, sono qui oggi con la mia compagna, Stacie Andree. Nella mia carriera mi hanno sparato, trascinata da un’auto, accoltellato, picchiato con pugni e calci ma me la sono sempre cavata bene, senza avere mai paura di farmi male o morire mentre eseguivo il mio dovere: è il lavoro, e io amo il mio lavoro. Giorni fa mi hanno diagnosticato un tumore al quarto stadio, la radioterapia ha ridotto le metastasi, ma le mie chance di sopravvivere sono meno del 10% e forse ho trovato un’avversaria che non posso sconfiggere. Vi prego di riconsiderare la vostra decisione e di approvare il passaggio dei miei benefici pensionistici a Stacie perché abbia la possibilità di restare a casa nostra quando sarò morta. Quando i miei colleghi eterosessuali muoiono, la pensione va alle loro mogli, ma poiché la mia compagna è donna, io non ne ho il diritto. Nei miei 23 anni di lavoro in Polizia non ho mai chiesto trattamenti di favore, sto soltanto chiedendo parità di diritti».

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Esistono artisti
che sono molto più
di ciò che appaiono;
hanno un seguito di pubblico
dettato non esclusivamente
dalla propria arte,
ma da tutta una serie di valori
che la gente vede incarnati in loro.

Alcuni esempi.

Emma Marrone è sì una brava cantante,
ma è anche colei che ha sconfitto il cancro.

Vladimir Luxurya è sì una brava conduttrice,
ma è anche la portavoce per eccellenza dell’universo LGBT.

Tra questa ristretta schiera di artisti
che possono vantare di essere
rappresentanti di qualcuno o qualcosa,
c’è un ragazzo di 22 anni,
che ha fatto del Sud Italia il proprio stendardo:
Rocco Hunt.

Non sei più un semplice cantante
quando la tua carriera è cominciata
da 7 anni, di cui solo gli ultimi 2
sotto le luci dei riflettori,
ma su Facebook puoi vantare
1 milione di fan
(quasi quanti Elisa, per intenderci).

Quando ciò accade,
la gente ti segue perché
in te vede qualcosa che
va necessariamente oltre
l’aspetto artistico.

Rocco Hunt è riuscito
in così poco tempo
a essere un’icona del Sud Italia,
di quel Sud che ce l’ha fatta,
quel Sud che rivendica fiero
il proprio dialetto e la propria cultura,
quel Sud che non gira la testa
di fronte allo schifo che lo vede ma lo denuncia.

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https://i0.wp.com/images.gqitalia.it/imgs/gallery/news/articoli/007299/in-treatment1-72687_0x410.jpg

In Treatment è una serie tv israeliana
incentrata sulle settimanali sedute
di uno psicoterapeuta con i suoi pazienti.

Gli aspetti interessanti sono due:

essendo quasi tutte le vicende
girate dentro una singola stanza,
i dialoghi assumono un ruolo centrale.
È qualcosa di atipico,
non solo non cambia la scena,
ma gli attori restano per tutto
il tempo immobili su un divano, a parlare.

L’altro aspetto degno di rilievo
è la cadenza rituale delle sedute:
una nuova ogni giorno della settimana,
dal lunedì al venerdì, nel medesimo orario,
in questo modo il telespettatore
si immedesima nel dottore,
e sa perfettamente che ogni lunedì alle 20.00
gli toccherà ascoltare quel determinato paziente,
mentre ogni martedì dovrà
ascoltare quell’altro, e così via.
Nell’arco delle sedute vedremo
l’abile psicoterapeuta
sbrogliare 5 segreti di 5 diverse storie.

La prima stagione italiana,
prodotta da Sky e che vede
come protagonista Sergio Castellitto,
risale al 2013, nel 2015
c’è stata invece la messa
in onda della seconda.

La storia della prima stagione che mi coinvolse
maggiormente fu quella di Sara,
una bella e seduttiva donna
interpretata da una bravissima Kasia Smutniak.
Caratterizzata da una tormentata vita
sentimentale (e sessuale) riuscirà
a mandare letteralmente fuori di testa
un professionista imperturbabile
come il suo psicoterapeuta
(del resto, a chi non accadrebbe
con la buona/bona Smutniak?).

Credetemi, Kasia non tira fuori
nemmeno una tetta in tutta la stagione,
ma a me già dalla sua prima seduta
venne un’erezione pazzesca e la cosa
proseguì fino alla fine della serie.

Vi lascio con un significativo discorso,
che potrete trovare alla 21° puntata,
in cui Sara (Kasia) riferisce
al Dottor Mari (Castellitto)
di voler interrompere le sedute
a causa del troppo amore che prova
nei suoi confronti:

«Da un anno non faccio altro che aspettare lunedì, tutti lo odiano il lunedì e per me è l’unica ragione di vita. Mi sveglio ogni lunedì e penso: “Ecco, oggi sarà il giorno che finalmente mi dirai che mi ami e potremo stare insieme”. Invece esco da qui e penso: “E che cazzo, mi tocca aspettare un’altra settimana. È solo così che riesco ad andare avanti, lo capisci? Non si può vivere così: è insano, è pericoloso… e per questo da oggi non verrò più.»

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Il blog si prende un mesetto
di pausa per le festività natalizie.

Vi lascio con un video che racconta,
sopra le memorabili note di Gloria Estefan,
l’ultima puntata di “Sabado Gigante”,
un programma cileno, molto seguito in America Latina,
che pochi mesi fa ha chiuso dopo ben 53 anni,
un record che gli è valso il titolo
di “programma tv più longevo del mondo”.

Ci rileggiamo nel 2016.

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Il blog si prende una pausa estiva,
non verrà aggiornato settimanalmente
ma vi prometto che da ora fino a Settembre
questo non resterà l’unico post.

Vi lascio con il brano più famoso
di Hector Lavoe, il padre della salsa,
il video è tratto dal suo film biografico (2006),
interpretato da Jennifer Lopez e Marc Anthony.

In sovrimpressione vedrete comparire
la traduzione dei versi in inglese,
in modo da poterne apprezzare l’infinità tristezza
contrapposta al ritmo movimentato,
tipico della salsa.

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Se dovessi pensare a quale colonna
sonora mi piacerebbe ascoltare
durante la scena di un film in cui
i protagonisti stanno abbracciati
e nudi nel letto
dopo aver fatto l’amore, beh,
mi verrebbe in mente solo questa canzone.

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In passato vi ho già linkato una canzone
di questa giovanissima rapper,
che per me, semmai il rap femminile sfonderà in Italia,
sarà una delle prime di cui sentire parlare.

Questa canzone mi ha colpito
sia per il ritornello che ti entra subito in testa,
sia, soprattutto, per la bellezza
di così tanti versi:

“se cerco il limite è solo per superarlo”,
“quando ci provo stai sicuro che ci riesco, se lo voglio non c’è verso, la domanda è solo “quando” e non “se””,
“se mi ferisci attacco e non lo posso permettere”,
“sono tutti necessari ma nessuno è indispensabile”,
“ho imparato ad usare il dolore come carica, sono una tanica di luce pronta ad esplodere”,
“in questo mondo non serve essere di marmo, io sono di gomma e poi quando cado rimbalzo”,
“non serve che sia facile, serva che sia possibile”,
“divento forte se ho qualcosa da difendere, ma cado a volte, quindi tieniti forte”.

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Il Blog va un po’ in vacanza,
mi dispiace,
o scrivo o vado al mare,
insieme nun glià fò.

Ci si rilegge a Settembre.

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<br/><a href="https://i0.wp.com/oi59.tinypic.com/17rceu.jpg" target="_blank">View Raw Image</a>

Mesi fa vidi un buon film
italiano (sempre più una rarità),
“L’ultima ruota del carro”.

Chi avesse intenzione di fare lo stesso
smettesse di leggere che sto
per spoilerare il finale.

Il film è basato su una storia vera,
parla di un uomo umile
la cui vita è stata segnata
da tante vicissitudini
e quando inaspettatamente
sembrava arrivato il colpo di fortuna
che avrebbe fatto cambiare le cose,
una vincita alla lotteria,
ecco accadere l’incredibile,
la moglie gli getta irrecuperabilmente
il biglietto nella spazzatura.

La scena finale per me è
emblematica e piena di significati:
lui che rovista disperato tra i rifiuti
di una discarica alla ricerca del biglietto vincente.

Un uomo che dal nulla
era passato ad avere tutto
e subito dopo stringeva
tra le mani addirittura meno
di quanto avesse sempre avuto,
perchè abbassarsi a rovistare
dentro una montagna di immondizia
è quanto di più basso
e umiliante possa esserci,
e lui per la sua sete di denaro
era riuscito a privarsi
persino della dignità.

Ad aggravare ulteriormente una situazione
già di per sè non edificante,
l’aspro litigio avuto con la moglie a causa di quel biglietto,
dove volarono parole forti, che ferivano nel profondo
una donna che non le meritava affatto,
una donna che amava tantissimo
e che lo amava tantissimo
al punto tale da non averlo mai abbandonato
nemmeno nei periodi più bui.

In piedi sui rifiuti,
con le mosche che gli camminavano sulla faccia,
il film si conclude con l’uomo che recupera la lucidità
e telefona alla moglie per chiederle scusa
con parole che, nella loro semplicità,
toccano il cuore perché piene di sentimenti:

Ma che sto a fa’?
Angelì? Ma che sto a fa’?
Ma che t’ho detto prima?
Ma che t’ho detto… tutte quelle cose…
io non le penso tutte quelle cose che t’ho detto,
hai capito?
Non le ho mai pensate, mai!

Hai capito si o no?

Ma che ce so venuto a fa’ io qua…
noi l’avemo vinta già la lotteria Angelì,
ce l’avemo già la fortuna.

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L’ho amata dal primo ascolto o,
meglio ancora, dalle prime note
sentite solo in sottofondo alla radio,
mentre i due speaker continuavano
a parlarci amabilmente
sopra per tutto il tempo.

Nello specifico questo pezzo
del ritornello mi fa impazzire:

“And I hope you find it,
What you’re looking for
And I hope it’s everything you dreamed your life could be
And so much more
And I hope you’re happy, wherever you are”.

La cui è intepretazione è:

“Spero che tu possa trovare ciò che stai cercando,
spero si possa realizzare tutto
ciò che sognavi per la tua vita
e anche di più,
infine spero che tu sia felice, ovunque tu sia.”

Rispecchia perfettamente il modo,
privo di rancore,
in cui si dovrebbero affrontare gli addii,
pur comprendendo che per molti
sia difficile farlo, almeno inizialmente.

Il brano è una cover di Miley Cyrus,
cantato prima che cavalcasse palle di cemento
e leccasse martelli;
la volce calda e potente di Cher
trovo che gli abbia dato
una spinta in più.

Anche il video è ben fatto:
semplice ma coinvolgente.

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Il blog va un mesetto in vacanza
per le festività natalizie,
utilizzerò questo tempo libero
per fare un nuovo video su youtube
e per tornare a scrivere, dopo mesi.

Sono ispirato, ho già buttato
giù qualche verso.

Per le cazzatelle veloci di svago
ci si legge su twitter.

Al 2014.

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Il commento più votato su un altro video
di youtube (non questo ufficiale postato sopra)
è di un tal sergio david:

“jennifer esto es para ti putaaaaa!”.

Fantastico.

E Marc Anthony è sempre il solito
fuoriclasse che non sbaglia un colpo.

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Professo’, quella ragazza che avete visitata,
la vedete? Nunn’è niente.
So’ quattro ossa messe insieme
che una persona sbadata può fare così con le mani,
e dice: «Questa è roba inutile, non serve».

E senza pensarci sopra le butta in un angolo,
in mezzo ai rifiuti e non ci pensa più.
Veste alla moda? Nossignore.
Porta le calze di seta? Non le porta.
Va dal parrucchiere? Non ci va.
Eppure, quelle quattro ossa messe insieme
proprio come sono state messe,
in quella posizione, cu’ chille duie uocchie,
cu’ chella pelle, ‘e chillo stesso culore…
sta cosa ‘e niente, ‘a vedite?

È ‘a femmena mia.

E a me, guardate a me.
Tengo ‘e scarpe rotte.
E guardate ‘o vestito…
E volete vedere la camicia?
E pur’io che rappresento?
Quattro ossa schifose che chiunque
farebbe col piede così…
per farle finire nell’immondizia.
Ma per lei queste quattro ossa schifose
sapete che rappresentano?

L’ommo suio.

Da “Il sindaco del rione Sanità”,
appena ho letto questo monologo
ho provato una forte emozione,
non ho potuto fare a meno
di rileggerlo, poi l’ho riletto ancora
ma l’emozione non svaniva.

In queste poche e semplici
parole di un popolano
ci trovi tutto:
estrema dignità per ciò che si è e si ha,
orgoglio, fierezza,
senso di protezione, amore
per una donna che per gli altri non è niente,
ma che per lui è tutto.

E’ la sua donna.

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Tipiche sonorità balcaniche
per questa canzone popolare albanese
colonna sonora di “Si può fare”,
un bellissimo film sul recupero
dei malati mentali.

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É diventata una droga.
L’ho sentita per puro caso
in un centro commerciale
e me ne sono innamorato
fin da subito.

La canzone è datata 2010,
mentre lei, Federica Camba,
è apparsa di recente ad Amici
per promuovere il suo ultimo singolo,
ma sono già diversi anni
che fa l’autrice per molti
ragazzi usciti dalla scuola
della De Filippi oltre che
per altri cantanti rinomati:
Laura Pausini, Gianni Morandi,
Marco Carta e Alessandra Amoroso
per citarne alcuni.

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L’ho ascoltata per puro caso
in macchina, i primi di Novembre,
mi colpirono molto le sonorità
e il modo di giocare con la musica.

Appuntai qualche parola,
e quando tornai a casa
feci una ricerca
per rinvenire sia il nome
della cantante che della canzone.

Lei è Ania Cecilia,
vincitrice (poco fortunata)
dell’unica edizione
di “Sanremo Web”, nel 2009.

La canzone l’ho riascoltata
solo a Febbraio,
quando un’anima pia si
è degnata di caricarla su youtube:
non si trovava da nessuna parte.

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Chiquitan, chiquitan, chiquititantan

Chiquitan, chiquitan, chiquititantan

Chiquitan, chiquititantan
Chiquitan, chiquitan, chiquititantan

Que viva la vida

Hoy , voy bailando por la vida,
Mi mente llena de alegría
Y sé que nada es imposible
Sin tí, sin pasión no hay salida
Vive la vida cada día
Hay que vivir cada momento

Porque sin tí yo pierdo el control
Porque por tu amor estoy muriendo
Sin tí no hay final

Que viva viva la vida
Vivela con alegría
Voy buscandolo pero no puedo encontrarlo

Que viva viva la vida
Y vivirla cada día
Y dime que tu quieres mi amor

Chiquitan, chiquitan, chiquititantan
Chiquitan, chiquititantan
Chiquitan, chiquitan, chiquititantan
Que viva la vida

Hoy, voy buscando por el mundo
La libertad de un vagabundo
Para sentir lo que es ser libre
Sin tí, se que no lo lograría
Sería infelíz, ay cada día
Y vivir lo que yo siento

Porque sin tí yo pierdo el control
Porque por tu amor estoy muriendo
Sin tí no hay final

Que viva viva la vida
Vivela con alegría
Voy buscandolo pero no puedo encontrarlo

Que viva viva la vida
Y vivirla cada día
Y dime que tu quieres mi amor

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Oggi, sto ballando per l’intera vita,
la mia mente è piena di gioia
e so che niente è impossibile
senza di te. Senza passione non c’è scampo.
Vivi la vita ogni giorno,
devi vivere ogni momento.

Perché senza di te perdo il controllo,
perché io sto morendo per il tuo amore,
senza di te non c’è mai una fine.

Vivi la tua vita vivendola,
vivila con gioia
io ci sto provando, ma non ci sto riuscendo.

Vivi la tua vita vivendola
e vivila ogni giorno
dicendomi che vuoi il mio amore.

Chiquitan, chiquitan, chiquititantan
Chiquitan, chiquititantan
Chiquitan, chiquitan, chiquititantan
Vivi la tua vita.

Oggi, sto cercando per il mondo
la libertà di un vagabondo
per sentire che cosa significa essere liberi.
Senza di te, non l’avrei ottenuta,
sarei infelice, oh tutti i giorni,
e vivrei quello che sento.

Perché senza di te perdo il controllo,
perché io sto morendo per il tuo amore,
senza di te non c’è mai fine.

Vivi la tua vita vivendola,
vivila con gioia
io ci sto provando, ma non ci sto riuscendo.

Vivi la tua vita vivendola
e vivila ogni giorno
dicendomi che vuoi il mio amore.

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Ho provato a reperirne
una traduzione in inglese
per ritradurla in italiano
ma nel web non ve n’è traccia,
allora ho azzardato
l’utilizzo del traduttore di Google,
ma vi lascio immaginare
la pietosità del risultato.

Sappiate che il testo
è fortemente patriottico
e ripercorre tutta la storia
albanese attraverso
le sue principali figure.
Il titolo della canzone
deriva da un eroe nazionale,
alfiere della
resistenza albanese
contro il tentativo
di dominio ottomano.

Il video a cartone animato
lo trovo ipnotico,
mentre la cantante
è Adelina Ismaili,
sex symbol kosovara,
popstar balcana che vanta
ben 280mila fan su Facebook.

Non è l’ultima arrivata,
con questo brano ha dimostrato
anche una certa eccletticità:
mica facile passare con credibilità
dal pop alla musica folk.

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Col mare sono abbastanza nemico,
ho preferito quindi passare i pomeriggi estivi
a guardare dei film dalle più sperdute parti del mondo.

Messico, Perù, Nuova Zelanda, ecc…
Certi proprio strani,
ad esempio uno parlava di una ragazza
che viveva con una patata inserita
nella vagina per non correre il rischio
di essere violentata come la madre (!).

Film non famosi ma che comunque
hanno vinto premi in vari Festival del settore,
quelli bravi li chiamerebbero “film d’autore”.

Tra questi sono incappato anche in un film italo-rumeno,
dove ho scoperto Cleopatra Stratan,
una bimbetta prodigio rumena
che ha conquistato la ribalta nazionale (e non)
con un motivetto senza troppe pretese chiamato “Ghita”.

Io, però, vorrei proporvene un altro,
che adoro particolarmente
tanto da averne fatto la mia nuova suoneria del cellulare,
si chiama “Zunea Zunea”
e ti entra subito in testa c
on quel suo ritornello martellante
a colpi di “O-ppa, zugna zugna, O-ppa”.

Provare per credere.

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Parliamo di 6 anni fa,
i social network erano desolati,
ed io, capendo il roseo futuro
che avrebbero avuto,
decisi di iscrivermi a uno di essi.

Ero indeciso:
Facebook o Myspace?
Twitter ancora non esisteva.

Facebook era davvero
qualcosa riservato
a una stretta nicchia,
per lo più americana
di persone.

Myspace invece annoverava già
una “vippanza” di tutto rispetto,
i famosi opinion leader
che muovono le masse
(basti vedere Fiorello
cosa ha combinato con twitter…),
per questo scelsi di iscrivermi lì,
scommettendo su un social
che dava ampie garanzie.

Sappiamo tutti poi
come è andata a finire…

Ma non conta questo,
Myspace lo conobbi perchè
ero follower di una pornostar,
lo ero anche quando
i follower non esistevano,
e quando si aprì una pagina
su myspace non potetti
fare a meno di seguirla
e diventare suo “amico”.

Le sono amico tuttora, su Facebook,
lei è diventato un vaccone cellulitico
ma io per affezione non riesco ad abbandonarla.
Di quei miei anni su Myspace,
mi resta(va) un blog che una donna,
non paga di avermi rovinato l’esistenza,
ha provveduto a far chiudere,
e una canzone,
ascoltata per la prima volta
sul profilo della pornostar di cui sopra
(l’ho presa un po’ alla lontana,
ma ecco giungere al dunque).

Loro sono le Brazilian Girls,
mentre la canzone si chiama “Pussy”
(del resto, sul profilo di una
pornostar cosa pretendevate…).

Non lasciatevi ingannare dal nome
della band, non sono brasiliani
ma newyorkesi, non sono donne
ma uomini, eccetto la cantante,
Sabina Sciubba, che ho scoperto
essere italiana DOC,
cresciuta in Germania
e poi emigrata negli States.

La canzone, oltre ad essere
molto orecchiabile, ha dentro
anche alcune parole italiane,
e da lì nacque la mia curiosità
di risalire al perchè.

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Tere ishq mein, dooba rahe din raat yoon hi sada,
mere khwaab se aankhein teri, ik pal bhi na hoye juda.
Mera naam tu haathon pe apne likhe baar haan,
Aye kaash ke aisa bhi ek din laaye wo Khuda,

Tu hi mera, mera, mera.

Hai teri chahat, teri zaroorat,
Sooni hai tujh bin, duniya meri,
Naa reh sakoonga, main door inn se,
hai meri jannat, galiyaan teri

Ummeed yeh seene mein leke,
main hoon jee raha,
kabhi tu mile, mujh se kahe ke,
main hoon bas tera.

Tu hi mera mera mera.

Tu hi hai kismat, tu hi hai rehmat,
tujh se judi hai, meri har khushi,
tu hi mohabbat, tu hi hai raahat,
lagti bhali hai, teri saadgi,

Paata hoon khud ko har ghadi, tere bina tanha,
mujhe thaam le, mujhe rok le,
bhatka hoon main bhatka.

Tu hi mera mera mera.

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Sono immerso nel tuo amore,
di giorno, di notte e sempre.
Lascia che i tuoi occhi non si separino mai dai miei sogni
e tu scriverai il mio nome sulla tua mano, ancora e ancora,
prego Dio affinché mi porti un giorno così…

Tu sei mia, mia e solo mia.

Il tuo amore è ciò di cui ho bisogno,
il mio mondo è vuoto senza di te,
non posso starti lontano,
sei il mio cielo.

Sto vivendo con nel cuore la speranza
che ci incontreremo e che tu mi dica
che sono solo tuo.

Tu sei mia, mia e solo mia.

Tu sei il mio destino, la mia benedizione
ogni mia felicità è legata a te
tu sei il mio amore, il mio solo sollievo
e la tua semplicità è divina.

Ogni momento mi sento solo senza di te,
stringimi, fermami,
sono perso…

Tu sei mia, mia e solo mia.

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La classifica dei video più
cliccati su youtube è
una finestra che mi piace
aprire giornalmente su mondi
musicali sconosciuti.

Ho fatto diverse
scoperte piacevoli lì,
tra queste Charlotte
con il suo brano
“l’infinito sei te”.

E’ una ragazzina e
all’ascolto del brano
inizialmente ero
condizionare negativamente
della sua vocina
poco “convenzionale”,
pensavo fosse la solita bimbaminchia
che giocava a fare la cantante
con canzoni alla Moccia;

poi invece, più scorrevano i secondi
e più mi accorgevo della bellezza
delle parole, delle rime ricercate,
e del senso profondo della canzone.

A primo acchito l’avevo battezzata
come una canzone d’amore come tante,
e invece no, è una dolce lettera in note
che una baby mamma
scrive alla propria figlia.

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Tutto ebbe inizio 12 anni fa,
era l’estate del 2000
ed io stavo passando
alcune settimane a Porto Recanati
presso mio zio che lavorava lì.

Era ancora il periodo
in cui i cd pirata
andavano fortissimo,
e in un pomeriggio di mare
mio zio fermò un “vu cumprà”
e ne acquistò un paio,
tra questi “Alma Caribeña”,
di una tale Gloria Estefan
che lui definiva “bravissima”,
io, manco a dirlo,
non ne avevo mai sentito
parlare e l’unica cosa
che al momento potevo
apprezzare era la copertina
coloratissima con sopra
una bella donna dai capelli rossicci.

Già dalla prima traccia
mi si aprì un mondo davanti,
quello della Salsa Cubana,
ricco di suoni e ritmo,
fu amore al primo ascolto
e da lì, oltre a custodire
come un cimelio il cd
di Alma Caribeña,
non smisi più di seguire
Gloria Estefan,
sebbene in Italia
la si conosca ancora solo per “Conga”.

Questo brano che vi posto
è ovviamente uno dei tanti
belli della Estefan,
però è quello che mi ha maggiormente
colpito per la trama del video,
piena di spunti di riflessione.

Si parte con lei che
ricorda i momenti spensierati
e di complicità con il suo lui,
facendosi bella come se egli
stesse ancora lì,
poi… la svolta radicale:
per rompere con un doloroso passato,
il taglio dei capelli,
un cambiamento di look a
a simboleggiare una nuova vita,
la rinascita di un’altra donna.

Interessante anche l’immagine
della Estefan che taglia i suoi stessi capelli,
con dei tagli così netti e approssimativi
che a vederla stai male tu per lei,
ma quel taglio,
“quella sterzata alla sua vita”
può e deve darla da sola,
senza l’aiuto di nessuno.

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Tempo fa stavo guardando youtube,
quando al lato, nei consigliati,
mi accorgo di un video
che aveva come anteprima
una ragazza piegata su una scrivania,
con un sedere pazzesco in bella mostra.

Da buon ometto, mi parte l’ormone,
e ci clicco immediatamente sopra.

Era un tranello.

Il video era composto da questa
unica foto statica con in sottofondo
una canzone hip hop molto
gradevole di un gruppo che non
avevo mai sentito prima.

Mi documento, e scopro
che si chiamano “Huga Flame”,
sono di Varese e stanno
da 12 anni sulla scena.

Scarico un pezzo e mi piace,
ne scarico un altro, idem,
poi un altro ancora,
e infine tutta la discografia.

A mio avviso, i migliori
sono gli ultimi album,
mentre tra le dozzine
di canzoni che meritano
di essere ascoltate
ho deciso di proporvi
questa che vedrete sopra
perché è ritenuta una dei loro
“cavalli di battaglia”.

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