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Archive for the ‘Tv’ Category

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Una domenica di Giugno,
ospite in una casa non mia
e senza aver a disposizione internet,
facendo zapping tra i canali
alla ricerca di qualcosa che mi potesse
intrattenere il più a lungo possibile,
mi sono imbattuto in un film di Mario Merola.

Sulle emittenti locali suddetti film
sono all’ordine del giorno,
ma mai mi sarebbe saltato per la testa
l’idea di soffermarmi su uno eppure,
in quella circostanza, non avendo alternative,
ho iniziato a guardare “Giuramento”, film del 1982.

Ne sono rimasto totalmente affascinato.

In Mario Merola ho rivisto in parte
il modus operandi di mio padre,
del sempliciotto di paese,
vecchio stampo, cresciuto nel nulla.

Mario Merola incarnava tutti quei valori
di quell’Italia di provincia
che ormai non esiste più:

la centralità della famiglia,
l’attaccamento alla propria terra,
l’importanza della parola data,
la netta divisione gerarchica tra uomo e donna.

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Sono rimasto folgorato
dalla prima stagione
di “American Crime Story” (candidata a 23 Grammy),
che tratta del “processo del secolo” (scorso)
di O. J. Simpson, star del football americano.

Simpson era una star amatissima,
rapportato al contesto italiano,
sarebbe paragonabile a un Totti o a un Del Piero.
Ecco, immaginatevi che uno di questi due
venisse d’un tratto accusato
di aver assassinato brutalmente l’ex moglie e un suo amico.
Barbara D’Urso ci farebbe sopra un intero anno
di Pomeriggio Cinque, i Tg aprirebbero tutte le edizioni
trattando il caso e la morbosità della gente
andrebbe solo aumentando causando una inevitabile
spettacolarizzazione del processo giudiziario.
Negli U.S.A. è avvenuto esattamente questo.

A causa dell’eccessiva pressione dell’opinione pubblica
quella che, alla luce delle prove schiaccianti,
dove essere una sentenza di colpevolezza scritta
(sangue di Simpson sul luogo del delitto,
lui che quando viene avvisato dalla polizia
della morte dell’ex moglie ne prende serenamente atto
senza chiedere come sia avvenuta, ecc…),
si trasforma in un dramma giudiziario per l’accusa,
con la difesa che costruisce una strategia
basata sul razzismo della polizia,
che avrebbe contaminato appositamente
la scena del crimine di prove contro OJ Simpson.
Dozzine di prove schiaccianti
che vengono a cadere per delle stupide accuse
di razzismo rivolte alla polizia e per un guanto,
rinvenuto sul luogo del delitto,
presumibilmente appartenuto all’assassino,
che però non entra nella mano di Simpson.

I protagonisti indiscussi delle 10 puntate
di “The people V OJ Simpson”,
sono gli avvocati.

Ricoprono un ruolo così cruciale
nel processo da diventare bersaglio
di attacchi mediatici:
il procuratore capo della d’accusa,
Marcia Clark, fu costretta a cambiare acconciatura
di capelli per sembrare meno austera,
della stessa Clark i giornali pubblicarono
alcune foto rubate di nudo.

Di Johnnie Cochran, avvocato “capo” della difesa,
la stampa andò a recuperare
delle accuse di maltrattamento all’ex moglie.

Gli avvocati giocarono la loro partita
anche sui membri della giuria
(segregati in un hotel per 8 mesi, senza tv e giornali)
chiamati a decretare l’innocenza o meno di Simpson.

L’accusa scavò nelle vite dei giurati di colore
per trovare qualsiasi appiglio
che li portasse a essere sostituiti con giurati bianchi,
lo stesso metodo venne adottato dalla difesa
per avere giurati di colore.

Infine, una simpatica curiosità:
nel pool di avvocati che difendeva Simpson
c’era anche un suo amico di vecchia data,
il cui cognome ora è noto al mondo
grazie all’opera delle figlie:
Robert “Bob” Kardashian.

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Per l’italiano medio
la tv è sinonimo di qualità,
basta che qualcosa passi di lì
per essere considerata degna di attenzione,
tanto che i nostri nonni (anche diversi genitori)
ci hanno campato una vita
sul “l’ha detto la tv”.

Proprio perché essa
conferisce valore
ai suoi protagonisti,
può permettersi qualche piccola
forma di “sfruttamento”.
Ad esempio, l’attore famoso,
se ha un film prossimo all’uscita nelle sale,
accetta di andare ospite in un programma tv
a titolo gratuito,
in quanto ha interesse a utilizzare
la cassa di risonanza della tv
per promuovere il proprio prodotto.

Per lo stesso principio,
i comici, di dubbio valore artistico,
presenti nei vari Zelig, Made in sud, Colorado, ecc…
Ricevono un rimborso spese
e non un vero e proprio compenso
per le loro esibizioni televisive
(anzi, qualcuno ho il sentore che paghi
di suo per comparire sul piccolo schermo),
questo perché il ritorno economico
non proviene dal singolo programma tv, ma dalle infinite
partecipazioni a sagre, fiere, feste in piazza, ecc…
dove i vari comici verranno ingaggiati
solo perché “sono quelli della tv”.

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Santa Maria Degli Ascolti
si è lasciata scappare
l’intenzione di inaugurare,
con la nuova stagione di Uomini e Donne,
un “trono gay”.

Analizziamo le ragioni per cui,
a mio modesto avviso,
si rivelerà una scelta azzardata:

1) È vero che i tempi sono cambiati,
l’omosessualità è ormai sdoganata,
la stessa Maria De Filippi
a “C’è posta per te” ha trattato,
negli ultimi due anni,
delle storie storie d’amore
tra persone omosessuali.
Ma erano pillole,
oltretutto ovattate,
non mi sembra di ricordare
baci appassionati tra i protagonisti.
Un conto è condire un buon piatto
con un pizzico di sale,
un altro è fare del sale il proprio piatto.
Disturba e, forse, disgusta.
Inoltre, teniamo presente che il pubblico
di Uomini e Donne è cambiato
nel corso degli anni,
la media d’età si è alzata di molto,
tant’è che le puntate di maggior successo
sono quelle degli “over”,
personaggi in cui il pubblico
si identifica maggiormente.
Ecco, mia nonna dubito
che guarderebbe di buon grado
dei gay ventenni limonare tra loro
per ben 4 mesi.

2) Per quanto, come scrivevo prima,
l’omosessualità sia stata sdoganata,
permangono ancora moltissimi tabù.
La maggior parte delle persone
preferisce, per evitare ripercussioni,
nascondere il proprio orientamento sessuale.
Non so quanti accetterebbero di buon grado
di andare in tv a sbandierare
la propria omosessualità,
così come non oso immaginare
quanti etero, pur di finire in tv,
si professeranno gay.

3) L’obiettivo del programma
è quello di isolare i corteggiatori
dal mondo esterno per tot mesi,
dandogli così modi di concentrarsi
esclusivamente sul tronista.
Spiegatemi il motivo per cui 30 corteggiatori
dovrebbero scannarsi per uno
che vedono 1 ora sì e no alla settimana,
quando potrebbero accoppiarsi
tra di loro nei camerini.

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Il giovedì sera,
alle 22.20 su La5,
va in onda “Casa Siffredi”:
un documentario sulla vita quotidiana
della leggenda italiana del porno.

Le riprese sono state effettuate
poco dopo l’uscita dall’Isola Dei Famosi
e vede Rocco abituarsi
alla sua nuova veste da ex porno attore.

Le fragilità del protagonista
erano già emerse durante il periodo da “naufrago”,
ma adesso il telespettatore
è catapultato in una dimensione più intima,
quella delle mura domestiche appunto,
dove Rocco e famiglia non recitano
un copione davanti alle telecamere
(scelta apprezzabile), bensì discutono
apertamente dei reali problemi della loro vita.

Vedremo quindi un Rocco
non convinto al 100% di “abdicare”
ma quasi obbligato a farlo
sia perché è meglio smettere
quando sei tu a deciderlo,
e non quando sei portato a farlo dal pubblico,
sia perché inizia ad essere imbarazzante
girare sul set con ragazzine
che hanno la stessa età
della fidanzata di tuo figlio.

Ruolo centrale nella narrazione
è ricoperto dalla “Rocco Hard Academy”,
l’accademia del porno
che Siffredi ha voluto fondare
nella sua bellissima tenuta ungherese,
con l’ambizioso intento di trovare il suo erede
e diversificare il business.

La paura di come sarà il “dopo”
è ricorrente nelle puntate,
non facendo più lui l’attore
ma solo il regista/produttore,
Rocco ha il timore che il pubblica
possa abbandonare i suoi film
con conseguenti ricadute economiche
per l’azienda di famiglia.

Ecco, raccontarsi senza filtri,
a cuore aperto,
l’ho apprezzato molto,
l’ho trovato molto onesto
sia nei confronti del telespettatore
occasionale che del vero fan.

Siffredi ha puntato sul racconto
della persona e non del personaggio,
ciò lo si evince anche
quando spiega che con la moglie,
che ama tantissimo,
è sessualmente insoddisfatto,
ha rapporto monotoni da sempre.

In conclusione, “Casa Siffredi”
è una piacevole scoperta,
un docu-reality onesto e garbato
che consente di conoscere
la quotidianità di un padre, una madre e due figli
titolari di un’azienda particolare.

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Nella musica Albano e Romina,
nel cinema Ben Hur,
in tv Maurizio Costanzo Show e il Karaoke:
stiamo assistendo a una serie
impressionante di riesumazioni.

Costanzo ha 80 anni, lo sguardo spento,
non parla più, farfuglia roba incomprensibile,
ma nonostante ciò, si ostina a voler andare in onda,
consapevole di minare un passato glorioso.

L’ingiustizia è che in un’epoca
in cui tutti vorrebbero andare in pensione
ma non ci riescono, chi ci potrebbe
andare tranquillamente non lo fa.

Il Karaoke, invece, è un format
totalmente anacronistico,
la cui riproposizione sugli schermi tv
è quanto di più insensato possa esserci.

Il Karaoke negli anni ’90 era innovativo,
non esisteva niente di simile
sulle emittenti nazionali,
fu l’antesignano dei moderni talent show musicali,
per la prima volta dei perfetti sconosciuti,
bravi e meno bravi, potevano esibirsi
davanti a milioni di telespettatori
e sperare di essere notati.

Ditemi voi se oggigiorno,
tra X-Factor, The Voice e Amici
qualcuno ha ancora interesse
a guardare dei dilettanti senza alcuna ambizione,
perché di questo stiamo parlando,
adesso i concorrenti bravi
si rivolgono altrove, non certo al “Karaoke”.

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La tv, come può creare dei mostri,
può ripulirli.

Se a crearli ci pensano i tg
e i vari programmi correlati di approfondimento
(Quarto grado, La vita in diretta, Barbara D’Urso, ecc…),
la satira risulta essere la migliore lavatrice
di reputazione che esista.

Prende un personaggio spregevole,
nel periodo massimo di indignazione popolare,
e pian piano lo umanizza,
gli ridà quasi una nuova identità,
tanto che si finisce a pensare
che la sua vera personalità sia
quella conferitagli dall’imitatore.

La satira consente in tempi brevi
il passaggio da carnefice a cialtrone,
e se il carnefice suscita disprezzo,
il cialtrone attira soltanto simpatia.

Per questo noi in Italia abbiamo uno Schettino
invitato per una lectio magistralis e
accostato addirittura all’isola dei famosi,
o un Antonio Razzi, di professione Senatore della Repubblica,
passato alla storia per un fuorionda
dove dichiarava di stare in Parlamento
esclusivamente per raggiungere il vitalizio
che, grazie a Crozza, è oggetto
di profondo interesse da parte dell’opinione pubblica
con speciali su di lui e ospitate varie.

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Gomorra – La Serie

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Più di una persona mi ha invitato
a vedere “Gomorra – La Serie”.
Premesso che non sono un grande
divoratore di serie tv,
men che meno italiane,
sebbene mi abbiano garantito
che è di ottimo livello,
ho scelto per principio
di non buttarci nemmeno un occhio.

Non è snobbismo,
è che sono stufo di dare all’estero
sempre la stessa immagine di noi,
quella dell’italiano mafioso.

“La piovra”,
“Romanzo criminale”,
“Montalbano” (per certi versi),
adesso “Gomorra”
è possibile che noi,
nella finzione come nella realtà,
negli USA sappiamo esportare
solo la mafia?

Gli americani sono bravi nei film di fantascienza,
i francesi nelle commedie,
mentre noi, il popolo dei Giuseppe Verdi,
dei Leonardo Da Vinci, degli Indro Montanelli,
degli Eduardo, noi siamo specializzati
nei film di criminalità.

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Politica e Cucina

http://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.58902.1379605611!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/articolo_648/image.jpg

La tv dell’ultimo decennio
ha generato due grossi mali:

i talk politici e i programmi di cucina.

Sui secondi ci siamo già espressi
nel recente passato,
sui primi, invece,
c’è da fare un discorso diverso.

La crisi ha inevitabilmente colpito
anche il mondo televisivo
che ha dovuto abbassare i costi di gestione
e fare di necessità virtù.

I talk costano pochissimo:
non investi in scenografia,
non investi in superospiti,
non investi in attrezzature
e, soprattutto, non investi
nei protagonisti del talk
perché, essendo politici,
non possono ricevere nessun compenso
per le loro comparsate tv.

E quando hai 100/200 parlamentari,
che devono quotidianamente
coprire 15/20 ore di programmazione
(si parte alle 7 del mattino con “Omnibus” su la 7,
per finire passata l’1 con “Linea Notte” su Rai 3),
è inevitabile scadere nella macchietta
con parlamentari che presenziano
a più programmi nel corso
di una stessa giornata
ripetendo le medesime cose.

Ne consegue che tu telespettatore,
non assisti più a questi teatrini
per tenerti informato sulle questioni pubbliche,
bensì per avere un accompagnamento
spensierato verso la fase rem.

Si è passati dall’informazione politica
all’intrattenimento politico.

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GF13

https://i0.wp.com/images.davidemaggio.it/pics3/2013/12/barbara-durso-mutande-confessionale-grande-fratello-e1387840075740.jpg

Erano stati fatti tanti proclami
su questo nuovo Grande Fratello,
tenuto forzatamente in naftalina
per oltre un anno.

Doveva essere un’edizione svolta,
piena di contenuti,
che non avesse niente a che fare
con le trashate precedenti.

Se da un lato questa svolta
c’è effettivamente stata
con la durata più corta del programma
e l’imponente apertura ai social,
dall’altro, sempre de trashate stamo a parlà.

Il repertorio è lo stesso.
Cercano di far litigare gli inquilini,
oppure cercano di farli piangere
con i video delle famiglie, con i regali dai parenti
o con “reperti” di genitori scomparsi…

Se davvero avessero voluto evitare
di incappare nei soliti meccanismi
triti e ritriti
non avrebbero inizialmente
tenuti separati uomini e donne
per far accrescere il desiderio
gli uni degli altri
(gli autori hanno ben pensato
di lasciare con le donne
solo gli innocui fratelli papillon),
non avrebbero alzato anche quest’anno
i riscaldamenti a manetta
per denudarli e arraparli,
non avrebbero riconfermato
la cabina doccia trasparente
e grande 3 posti per indurli in tentazione
e consentirgli di docciarsi insieme,
e non gli avrebbero fatto trovare
dei letti mancanti costringendoli
a dormire insieme.

Questi mezzucci ormai
sono superati ma al Gf
non lo hanno ancora capito
e mi gioco quello che volete
che tra poco caleranno un altro
loro asso storico:
fargli perdere gratuitamente le prove
per non farli mangiare
e portarli così al litigio.

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https://i0.wp.com/www.vitadamamma.com/wp-content/uploads/2012/08/posta20per20te.jpg

Il successo di
“C’è posta per te”
deriva dal suo parlare
alla/della nazione.

Lo spettacolo che ti
si presenta non è un film,
sono storie vere,
già solo questo basterebbe
ad attirare uno sguardo interessato,
se poi ci aggiungi che la maggior parte
trattano di dolore e sofferenza,
il coinvolgimento del telespettatore
non può non essere che maggiorato.

Da qualche edizione “C’è Posta”
sta raccontando il paese
e la crisi economica
che lo attanaglia in una maniera
unica nel suo genere,
dando voce e celebrando
quelli che sono i piccoli eroi
della vita quotidiana,
gente che con profonda dignità
stringe la cinghia e fa i salti
mortali per arrivare a fine mese.

L’Italia vera è questa,
ed è spontaneo far scattare nel telespettatore
quel processo di identificazione
che lo porta a patire o tifare
per “l’uomo comune” di turno.

In questo tipo di programmi
il rischio di provare piacere
a spiare dal buco della serratura
è elevatissimo.

Lo sai di stare a guardare una porcheria,
perché la messa in piazza
delle lacrime e della disperazione
è per forza una porcheria,
però non riesci a fare
a meno di guardarla,
la storia ti tiene
incollato alla sedia.

“C’è posta” ti pone
in quella posizione invidiabilissima
di poterti fare i cazzi
degli altri senza che
gli altri lo sappiano
e si facciano
a loro volta i tuoi.

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Mai come nell’ultimo decennio
ci propinano programmi di cucina
a qualsiasi ora del giorno.

Cucinano sempre, cucinano tanto,
ma mangiano raramente,
per lo più assaggiano.

Questo per un tacito
accordo fondato sul buonsenso:
non sta bene abbuffarsi
davanti a qualcuno
che magari non può permetterselo,
è lo stesso principio che ci spinge,
prima di accingerci a pranzare,
a chiedere ai presenti di favorire.

Alla luce di ciò,
trovo profondamente immorale
un programma di successo
come MasterChef dove dei giudici
si prendono addirittura
la briga di gettare nella pattumiera
o epitetare come “merda” del cibo.

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La cosa più triste
di tutte le festività natalizie
per me avviene il 31 di Dicembre.


Immaginatevi una coppia di anziani,
marito e moglie, da soli,
davanti al televisore
a guardare, nel silenzio generale
di una casa vuota,
Carlo Conti che presenta
caroselli, trenini, canzoncelle
e pseudo vip che brindano
e si divertono a più non possono.


Non ritengo che sia sbagliato
assistere a simile spettacolo,
perché magari può essere di compagnia
a chi non può vivere una vigilia
di capodanno scoppiettante,


rifletto su quanto possa
essere in sè mortificante,
e anche un po’ masochista,
provare piacere a guardare
gente che si diverte al posto tuo
e, se vogliamo essere ancora più cattivi,
si diverte con i tuoi soldi,
visto che quell’evento contribuisci a pagarlo
anche te con il canone Rai.

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E’ giunto al termine,
ormai da un po’ di settimane fa, The Voice of Italy,
andiamo ad analizzare, con un po’ di ritardo
per i motivi che ormai tutti conoscete,
quanto emerso durante la prima edizione.

I concorrenti, chi più, chi meno,
erano tutti bravi,
rispetto agli altri talent,
la media era decisamente alta,
frutto di una scrematura a monte,
davanti ai giudici arrivava
infatti solo chi sapeva cantare,
non chi pensava di saper cantare…
poi, una volta lì, si veniva giudicati
sulla base di sfumature.

La novità introdotta dal programma
è la “blind audition”,
i cantanti si esibiscono
davanti a giudici voltati di spalle,
ne consegue che ad essere giudicata
sia esclusivamente la voce,
spoglia da qualsiasi influenza
dettata dall’aspetto fisico del performer.

Almeno così dovrebbe essere,
i giudici per davvero non vedono il cantante,
ma il pubblico presente in studio sì,
e quindi dalle facce che loro fanno
si può tranquillamente dedurre
se a cantare sia un cesso o no.

Semmai il giudice volesse comunque
girarsi per accertare personalmente
l’avvenenza dell’esaminato,
e dovesse accorgersi che si tratti
davvero di un cesso senza futuro discografico,
può poi eliminarlo nella fase successiva,
“le battle”, dove cantanti
dello stesso team
si sfidano con/in un duetto.

Qui si assiste alla parte
più patetica dello show,
i giudici tirano fuori
tutto il loro falso buonismo,
rammaricandosi di aver messo contro
“due pezzi forti” e di doverne
per forza farne fuori uno.

Vogliono farci credere
che prima non ci avevano pensato.

Oltre al succitato paraculismo,
il programma presenta altri punti di debolezza,
alla lunga si rivela ripetitivo
(3 ore a puntata solo di audizioni, tutte con lo stesso confezionamento;
la fase eliminatoria dopo le “battle” è interminabile; ecc…),
sono presenti numerose marchette commerciali
e i vocal coach (Mario Biondi, Morandi, Modà, Marlene Kuntz)
sono stati piazzati lì senza senso alcuno,
se non quello di buttare via soldi in futili cachet.

Per finire, una nota di colore:
per quanto possa essere contento
che a vincere stavolta
sia stato il talento sull’ormone,
bisogna sottolineare che The Voice of Italy
è una ragazza albanese,
proveniente dal team di un giudice vietnamita,
che ha cantato un brano inedito in inglese.

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https://i0.wp.com/static.blogo.it/tvblog/rosetta-a-uomini-e-donne-over/Immagine14.png

Si è conclusa anche quest’anno
la stagione di Uomini e Donne.

Come al solito ha fornito
spunti interessanti.

I vecchi o, per dirla in maniera
più edulcorata, gli “over”,
hanno preso il totale
sopravvento sui giovani.

Inizialmente avevano
loro riservati “solo”
2 appuntamenti settimanali,
poi diventati 3,
ed infine addirittura
4, cassando di fatto
la puntata “ragazzi e ragazze”,
che aveva la stessa formula
di quella over,
ma con protagonisti gli “under”.

A dire il vero questa
è una delle poche cose positive:
ciò che emergeva con gli under era aberrante,
e i giovani di oggi
non ne uscivano certo bene…

Resiste, non so per quanto ancora,
il trono classico,
quello con tronisti
e corteggiatrici tanto
per intenderci,
anche se con scarsi
riscontri di auditel,
tanto che la stessa De Filippi
ha lasciato intendere
che non è più tanto sicura
di riconfermarlo per la prossima stagione.

Arriviamo al trono over.
Senza ombra di dubbio
è il più interessante,
quantomeno per il confezionamento.

Tra gli uomini e le donne
resistono dei capisaldi
da ormai 4 anni,
gente che non ha alcun interesse
a trovare un/a compagno/a
ma che resta lì con il solo intento
di intrattenere e fidelizzare il pubblico,
un po’ come accade in Beautiful,
dove a resistere da sempre
sono Ridge e pochi altri,
giusto per dare punti di riferimento
al telespettatore
e non fargli pensare che stia guardando
tutt’altro programma rispetto
a quello che aveva seguito
sin dagli inizi.

Coloro che all’interno del programma
non si mettono in evidenza
entro max 4 puntate,
vengono prontamente sostituiti,
e questo rimpasto
aiuta a creare nuove dinamiche
tra i presenti in studio,
che altrimenti, essendo sempre gli stessi
da anni e anni, non avrebbero niente più
né da dirsi, né da darsi.

Non crediate che le cose
siano cambiate rispetto al passato,
i vecchi sono anch’essi
malati di protagonismo,
e sempre più spesso
li si vede comparire sulle
copertine dei giornali patinati
o presenziare a eventi
come “guest star” della serata.

La più grande novità introdotta
quest’anno è indubbiamente
la sfilata di moda.

In un primo momento la De Filippi
aveva puntato sulla gara di ballo,
mossa sbagliatissima,
le puntate si rivelavano
di una noia mortale,
sia perché non c’era competizione
tra i partecipanti,
visto che nessuno sapeva ballare,
sia perché il telespettatore
non aveva nessun interesse
a guardare passivamente
dei vecchi divertirsi al posto suo.

Quindi la sterzata repentina,
Maria ha preso i suoi fantocci
e li ha messi sfilare;
lo spettatore si è sentito
coinvolto da subito,
premiando con ascolti pazzeschi
questa felice intuizione.

A chi non è capitato
a un matrimonio di criticare
il vestito della sposa o di qualche parente?
La De Filippi non ha fatto
che riproporre tutto ciò in tv.
Lo spettatore da passivo,
nel vedere dei vecchi barcollare
su delle note musicali,
diventa attivo,
anche lui è chiamato a giudicare
l’outfit dei concorrenti.

Infine, anche sul piano costi-risultati
la puntata over è una gallina
dalle uova d’oro:
Registrano una sola puntata settimanale,
tutta in studio, senza esterne,
spalmandola su ben 4 giorni,
capirete che, rispetto al trono tradizionale,
sia i tempi di lavoro
che i costi si abbattono drasticamente.

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Carosello Reloaded

https://achuisle.wordpress.com/wp-content/uploads/2013/05/fe99b-carosello1.jpg

Che tenerezza mamma Rai,
è talmente in crisi di ascolti
che per provare a risollevarli un po’
è andata a riesumare
un programma cult,
ma di 50 anni prima…

Carosello era un successo
indiscusso perché a quel
tempo in tv non esisteva nulla,
assolutamente nulla,
c’era un solo canale
e tutto quello che passava
da lì faceva 20 milioni di telespettatori,
perfino una striscia pubblicitaria.

E’ inimmaginabile ipotizzare
che un bambino di oggi,
diametralmente opposto
da quello di 50 anni prima,
e che quotidianamente
viene bombardato da accattivanti
cartoni animati,
ogni secondo, e su ogni canale,
possa trovare interesse
per delle pubblicità,
oltretutto in bianco e nero.

Lo stesso adulto appena
comincia una pubblicità
si è abituato a cambiare canale.

Sembra quindi chiaro
che “Carosello Reloaded”
punti a suscitare nei 50-60 enni
quell’effetto nostalgia
che li spinga a guardare il programma.

Il problema è che non hanno più
gli occhi di un bambino,
ed è normale che non riscontrino
nel Carosello odierno gli stessi
valori e le stesse emozioni
di quello della loro infanzia:

il prodotto magari è anche migliore,
ma quelli cambiati sono loro.

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Era il giorno di Pasqua,
stavo fuori casa, spaparanzato
su un divano, in attesa
che mi chiamassero
per la tradizionale abbuffata,
giravo nevroticamente
i canali tv alla ricerca
di qualcosa che non fosse una replica
o una telecamomilla per anziani,
quando improvvisamente mi
imbatto in questo programma, “Italianissimi”,
su ABC, canale 33 del digitale terrestre.

Sono rimasto subito flashato.

Devo confessarvi la verità,
per quanto cerchi di limitare
il maschio alpha
che alberga anche in me,
ciò che d’istinto mi ha
fatto desistere dal cambiare
canale è la conduttrice gnocca,
Laura Fantuzzi, da lì poi
è venuto tutto il resto.

Inizialmente pensavo fosse
il solito tutorial per far
apprendere l’inglese
a noi italiani duri di comprendonio,
invece no, il programma
puntava a far apprendere
l’italiano agli stranieri!

Per quanto fosse nobile l’intento,
nei fatti, il risultato
era abbastanza strampalato,
tanto è vero che il programma
sembra essersi interrotto
proprio dopo la prima puntata.

La cosa che mi ha colpito
maggiormente era che
insegnava l’italiano agli stranieri,
in italiano, un italiano complesso
e parlato, oltretutto, velocemente,
quando si presuppone che i telespettatori
stranieri l’italiano non lo sapessero affatto.

A dire il vero dopo veniva data
anche una rapida spiegazione in inglese,
ma la Fantuzzi si impappinava sovente
dando l’impressione di non padroneggiare
appieno la lingua, e anche la pronuncia
maccheronica lasciava molto a desiderare.

Insomma, un vero disastro,
ma una chicca imperdibile
per gli amanti del trash televisivo.

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I Coccodrilli Tv

La settimana Pasquale
mi ha strappato un sorriso:
qualora ce ne fosse ancora bisogno,
ha dimostrato come i “coccodrilli televisivi”
vengano utilizzati non per commemorare
veramente il defunto,
ma per tappare buchi di programmazione
o per accrescere lievemente
gli ascolti cavalcando
l’onda emozionale del momento.

In pochi giorni sono morti
Jannacci e Califano
e né la rai, né Mediaset
hanno mandato in onda
uno speciale in diretta su di loro.

Erano tutti in ferie.

Hanno cominciato a sciacallare
solo dal Martedì,
a distanza di 3/4 giorni.

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https://i0.wp.com/www.rockit.it/foto/19511/bookmaker-scommesse-vincitore-festival-sanremo-2013.jpg

1) Anna Oxa incazzata nera
2) Il Compagno Toto con l’Armata Rossa
3) La contestazione a Crozza
4) Il filone nostalgico (riesumazione di vecchie canzoni e vecchi conduttori)
5) Le figuracce di Bar Refaeli e Bianca Balti
6) La “gay friendlytà”
7) Le due canzoni a cantante

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https://i0.wp.com/blog.screenweek.it/wp-content/uploads/2012/07/Madagascar3MAIN.jpg

I grandi film d’animazione
americani sembrano seguire
tutti le stesse linee guida.

1) Sono film d’azione:
scordatevi le storie
sognanti di un tempo
come “Lilly e il Vagabondo”
o la “Bella e la Bestia”,
questi zompettano e si menano come dei fabbri.
Del resto sono le cose che più
catturano l’attenzione
del bambino, i dialoghi
sono secondari, vengono
impostati per essere capiti
principalmente dagli adulti.

2) I protagonisti sono
simpatiche bestie di vario tipo,
oppure esseri umani
con poteri eccezionali
e particolari fisici stravaganti.

Ci meravigliamo che i bimbi
sono più iperattivi di un tempo,
senza soffermarci a pensare
che siamo noi ad educarli in modo diverso.
Rompono le palle e per farli
star buoni li piazziamo davanti alla tv,
a guardare cartoni animati
che non hanno una storia
né una sequenzialità, sono fatti
per essere a rapida combustione/consumo,
qualsiasi puntata tu veda,
stai tranquillo che non ti trovi spiazzato,
capisci  perfettamente quello
che sta avvenendo.

L’attesa del cartone animato è sparita,
così come la sua sacralità,
anch’esso è diventato
una routine verso cui il bimbo
non presta più particolare attenzione,
perché tanto sa che potrà rivederlo
a qualsiasi ora del giorno.

Infine, dannazione, non c’è n’è
uno con una storia d’amore.
Sono rimasto sbalordito da Madagascar 3:
il leone protagonista
non viene fatto baciare
con la leonessa di cui è innamorato,
sebbene si verifichino
almeno due situazioni
in cui si ritrovano a un palmo di naso
a guardarsi intensamente.

Già viviamo in un’epoca di divorziati,
il che costringe il bambino
a non vedere dell’amore tra le mura domestiche,
se poi non glielo mostriamo nemmeno in un cartone animato
è normale che cresca schizzato
e privo di sentimenti.

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https://i0.wp.com/static.blogo.it/tvblog/a/a84/EMHEITALIAALESSIAMARCUZZIcreditofotoMIRTALISPI.jpg

Su Canale 5 e con scarsi risultati
è andato in onda
Extreme Makeover Home Edition;
non avendo visto il programma originale,
esprimerò un giudizio basandomi
esclusivamente sulla versione italiana.

Quello del riadattamento
di un format è sempre
un argomento spinoso,
l’autore è chiamato ad aggiungere,
sottrarre o modificare elementi seguendo,
in base alla propria percezione,
i gusti del paese fruitore.

Spesso questi riadattamenti
ci permettono di capire chi siamo
o, quantomeno, come veniamo considerati
… e quasi sempre ci considerano
dei cerebrolesi, o giù di lì.

EMHE è un’accozzaglia di format,
ci troviamo “Carramba che sorpresa”,
la tv del dolore di “c’è posta per te”,
e addirittura il restyling dei concorrenti
di “ma come ti vesti?” su real time.

La casa ristrutturata, o più in generale
la sorpresa, nella tv italiana
se la merita sempre il down,
il tetraplegico, l’orfano,
mai che spettasse a una famiglia
normale, senza particolari disgrazie
che suscitino pateticità.

Dichiarano di rimodernare case
in soli 7 giorni, quando noi
comuni mortali dopo 2 mesi
siamo costretti a minacciare
gli operai di querele se
non si sbrigano ad andarsene.
Inoltre il team di EMHE si atteggia
a più non posso:
“facciamo, abbattiamo, mettiamo, creiamo”,
ovviamente in ville (mi dovrebbero spiegare
come si fa a vivere in una villetta se si è poveri…)
lì vorrei proprio vedere in un appartamento
di 70m² se sboroneggerebbero così.

Ma poi il risultato finale lo avete visto?
Sembrano tutte case del grande fratello,
arredate nella stessa identica maniera
e addirittura con tanto di piscina.
Mi chiedo una famiglia
che, teoricamente, chissà come
ha il pane a tavola a pranzo,
cosa diavolo se ne fa di una piscina e,
soprattutto, come fa a mantenerla…
Chiamasi “inutile apparenza”,
un po’ come quella di certi morti di fame
che girano con l’iPhone in mano.

Orrendo poi il finale,
con un camion a coprire
la visuale della casa
e tutti gli amici e parenti
a gridare al conducente di spostarlo
facendo finta che la casa
ristrutturata non l’hanno
mai vista prima di allora.

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Da una settimana è finita
la prima edizione di Pechino Express:
l’ho divorata tutta,
dal primo all’ultimo minuto.

Per gli amanti delle avventure
con solo zaino in spalla
il programma è una manna dal cielo.
Luoghi fantastici,
montaggio eccezionale
e cast azzeccato.

Se non ne avete
vista nemmeno una puntata
e immaginate che sia
un discendente stretto
de “L’Isola dei Famosi”,
toglietevelo dalla testa.

Elenchiamo 3 principali differenze:

1) Pechino è registrato, l’Isola è live.
Il che rende Pechino
un programma distillato e
confezionato con maggiore cura,
in onda viene mandato solo
il “best of” e questo
non può che innalzare
il tasso qualitativo del programma.

2) I concorrenti di Pechino mangiano
(anche se in realtà dovrebbero
avere solo 1€ al dì per farlo…).
Non sono tenuti in cattività
e finiscono per fare gruppo,
al centro dello spettacolo
c’è il viaggio, lo scopo del programma,
non le liti dei viaggiatori.

3) Pechino è in movimento.
Non sono gli autori a dover
interferire artificialmente
nel programma per movimentarlo,
ci pensano inevitabilmente
gli stessi abitanti del posto
con cui i concorrenti sono
chiamati a relazionarsi.

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La televisione è un mezzo
di comunicazione potentissimo,
vagonate di persone
spingono per entrarci,
ed altrettante si
ostinano caparbiamente
a non volerne uscire.

In principio fu Mike Bongiorno
ad ambire a una “morte in diretta”,
gli vennero affidati nel fiore
degli anni programmi di punta
(Lascia o raddoppia?, Rischiatutto,
La Ruota della Fortuna),
poi quando il successo scemò dovette
accontentarsi di programmi di nicchia
(Bravo Bravissimo, Viva Napoli),
di pubblicità (Infostrada)
e infine restò aggrappato
al piccolo schermo
con frequenti ospitate.

Oggi Pippo Baudo e Maurizio Costanzo
sono i casi più eclatanti
di persone che non si capacitano
a dover lasciare posto
a qualcun altro,
sono per di più in ottima compagnia,
Lino Banfi, ed esempio,
è uno di quelli che
noncurante dell’avanzare dell’età,
pretende di fare quello
che faceva 30 anni prima:
stessi film, stesso modo di parlare, ecc…
non capendo che così finisce
per diventare la parodia di sé stesso
suscitando tristezza
nel telespettatore.

Sul grande schermo,
in particolar modo quello Hollywoodiano,
attori del calibro di Robert De Niro
hanno saputo reinventarsi
in inediti ruoli da commedia
per allungarsi la carriera
e non rischiare di passare
per “vecchi patetici” in improbabili
ruoli d’azione.

Altri, invece,
il 66enne Stallone su tutti,
hanno scelto di non mutare
di una virgola il loro personaggio
e per questo è facile
vederli ancora oggi
prendere a pugni dei 20enni
sferzanti dell’osteoporosi.

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Quando sai che quella
dei concerti in tv
è una strada difficilissima,
dove anche gente del calibro
di Vasco Rossi, Ligabue,
Tiziano Ferro e Gianna Nannini
ha raccolto al massimo
il 10% di share;

e poi vedi un vecchietto di 74 anni,
non più intonatissimo,
che ha bisogno del costante apporto
di un gobbo per ricordarsi
le proprie canzoni,
riuscire dove altri hanno fallito,
e mandare in totale delirio i presenti,
persone di qualsiasi etnia e fascia d’età,
con risultati auditel pazzeschi (32%),

allora comprendi la differenza
che passa tra un grande cantante
e una leggenda.

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“Ti lascio una canzone”,
in nome degli ascolti
che comunque latitano,
quest’anno si è evoluto
in una sorta di spietato
“X-Factor Baby”.

Eppure alla presentazione
avevano cercato di addolcire
la pillola:

“nessun bambino verrà eliminato, nessuna eliminazione cruenta”.

Mej cojoni.
L’eliminazione non sarà cruenta,
ma le parole dei giudici sì.

Innanzitutto trovo
aberrante la competizione
tra bambini, in qualsiasi contesto,
particolarmente quello televisivo,
ma forse il problema sta a monte:
i bambini non dovrebbero proprio
stare in tv ad atteggiarsi a piccoli divi,
spinti dalle lucrose famiglie,
un posto più adeguato
è di sicuro  la loro cameretta,
in mezzo ai libri e ai giochi.

Sarò anche all’antica,
ma resta il fatto che è inammissibile
far salire un bambino
che non ha ancora la giusta tempra
né i mezzi per difendersi,
sopra un patibolo
per sottoporlo a
delle critiche eccessive
(per quanto giuste).

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Lo confesso,
Clio Zammatteo
è una droga anche per me.

Non posso farci niente,
lei è il suono del piffero
ed io il cobra incantato.

Non riesco a staccarmi
dal televisore,
mi prende troppo.

La vedo come
l’Antonella Clerici
del Make Up;
la stazza è quella,
solo che la Clerici ha le tagliatelle
mentre Clio ha pennelli e ombretti.
Quando si mette vicino
ai fornelli a impasticciare
improbabili intrugli di bellezza
è l’apoteosi, lì proprio
non riesce a sottrarsi
dal paragone con “Antonellina”.

La guardo su Real Time
anche perchè infondo
sono interessato all’argomento,
si sa, per sconfiggere
il nemico devi conoscerlo,
ed io sto imparando
un sacco di cose riguardo
al meraviglioso universo
femminile.

Ad esempio ho imparato
che il “truccarsi”
si aggiunge alla lunga
liste di cose in cui
la donna è impedita
(guidare, fare la madre, ecc…),
così come ho imparato
dove si collocano sul volto
prodotti i cui nomi astrusi
li avevo uditi solo
in pubblicità e sempre
con scarso interesse.

Quello che mi ha colpito
maggiormente è il BLUSH,
tutti si chiederanno:
“che minchia è?”
Ho impiegato un mesetto
abbondante a capirlo,
serve a fare
le guance rosse,
è un comunissimo Fard
che la sola Clio
chiama BLUSH per disorientare
la malcapitata di turno.

Passiamo al format tv,
la parte del programma
che mi gusto tutto d’un fiato
e che vorrei non finisse mai
è quella dove Clio
è chiamata a ispezionare
la Trousse di una donna.

Clio è di una cattiveria inaudita,
ma sa insultare la poverina
che le siede di fronte
con un garbo che non ha eguali,
tanto che quasi non te ne accorgi
che ti sta guardando storto
pensando (e spesso dicendo)
le peggiori cose di te.
Divina la faccia terrorizzata
della donna mentre Clio
fruga nella trousse
alla ricerca di prodotti
seccati, scaduti o rovinati,
ha la stessa espressione
di quando a scuola,
sotto il periodo delle interrogazioni,
preghi che il professore,
scorrendo il registro,
non si fermi sul tuo nome.

Altrettanto spassosa la parte
del trucco vero e proprio.
Le ultraimpedite,
o i casi disperati,
vengono truccate da Clio;
mentre solitamente
la donna si trucca da sola
seguendo le istruzioni
di Clio che le siede affianco
intenta a truccarsi
nello stesso identico modo
per motivi che non ci è dato sapere.
Clio è fatta così,
si eccita a truccarsi
anche quando non le serve.

Se state facendo zapping
e vi capita di beccare
un suo primo piano
non potrete fare a meno di pensare
“Ma sta ricevendo un cunnilingus???”.

No, meglio,
ha appena finito di passare
il Gloss sulle labbra,
tranquilli.

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Mi chiedo come sia possibile
che la Rai pianga miseria
dicendo che non possono
competere con Sky
poiché gli americani
“possiedono i mezzi
che loro non hanno”.

Santo cielo,
ogni volta che li sento
mi indispettisco
a tal punto che ho deciso
di fare due semplici
conti da salumiere.

La Rai ha 17 milioni di abbonati,
che versano la bellezza
di 112€ l’anno per usufruire
del (misero) servizio.
112 x 17 milioni
fa quasi 2 Miliardi,
a cui vanno sommati
gli introiti della pubblicità.

Sky invece,
ha 5 milioni di abbonati,
che mensilmente spendono,
in media, 50€, 600 annui.
600 x 5 milioni = 3 Miliardi

I soldi sono pressapoco gli stessi,
solo che Sky ne spende tanti e meglio,
accaparrandosi esclusive su esclusive,
mentre la Rai, a causa
del magna magna e della sua
inutile struttura elefantiaca,
ne investe quasi nulla
e ci rifila Giletti e Magalli.

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Odio “Paint your life”
e odio Barbara Gulienetti.

Però devo ammettere che è brava,
è brava a rovinare
ciò che è già brutto di per sé.

Qualsiasi cosa
passi tra le sue grinfie,
da orrenda diventa kitsch,
che quasi rimpiangi
com’era prima.

La cosa divertente
è che le ci crede davvero
a quello che fa,
pensa davvero che un oggetto
riacquisti valore
dopo averlo pasticciato
con colori e pezze.

A fine lavoro
lo fissa con quell’aria
soddisfatta che ha
dell’impagabile,
sfoggiando un mega sorrisone.

Ma Barbara cara,
chi si metterebbe mai
in casa una roba del genere?
Perché ti accanisci
a riciclare l’irriciclabile?
No, a lei prende ‘sto raptus
che deve rappezzare
qualsiasi cosa,
anche una lampada Ikea:
ma vaffanculo che con 5€ te
la compri nuova.

Ogni volta che la vedo
mi fa salire un nervoso
che mi verrebbe voglia
di andare lì e
buttarle via tutto.

Avete presente un bambino
quando afferra una schifezza
che non vuole mollare
e voi gli dite che è “cacca”?

Ecco, io penso che la Gulienetti
si comporterebbe pressappoco così:

Io: “Butta che è cacca”
Lei: “No!”
Io: “Buttalo”
Lei “No. Noooooooo”
Io: “BUTTAAAAAAA”

e glielo strappo dalle mani.

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La Rai ha perso i Mondiali,
la Champions League,
la F1,
e già i vertici hanno fatto sapere che,
nell’ottica del contenimento dei costi,
probabilmente l’Europeo
sarà l’ultimo grande
evento sportivo
trasmesso dalla tv di Stato.

Se vogliono combattere
l’evasione del canone
(112€, aumento annuo di 1.50€)
con “le prime visioni esclusive”
di Giletti e Mara Venier,
beh, auguri.

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Durante le tragedie
in tv cala un manto
di ipocrisia unica.

Vengono sospese le trasmissioni
di intrattenimento per “rispetto”,
come se poi il telespettatore
si sentisse turbato o offeso
nel vedere un programma
in cui la gente si diverte
in un giorno segnato
da gravi avvenimenti luttuosi.

Il telespettatore “turbato”,
se è turbato veramente,
il programma in questione
non se lo va proprio a guardare,
c’è o non c’è.

Allora si potrebbe dire
che fare un lavoro
che offra allegria
in un giorno triste
non è opportuno,

beh,

a me non sembra che circhi,
cinema, partite di calcio,
discoteche e qualsiasi altro luogo
di divertimento chiuda
in queste circostanze,
come non mi sembra
che questi luoghi vadano
deserti in seguito
ad avvenimenti tragici
sul panorama nazionale.

Ritorniamo alla questione
che ciò che conta realmente
oggi non è il dolore che si prova,
ma la rappresentazione che agli
altri si da del proprio dolore.

Durante questi avvenimenti, poi,
la televisione si spacca
in due correnti di pensiero:
ci sono quelli che non vanno
in onda per “rispetto”
e quelli invece che decidono
di andare comunque in onda perchè
“a questi cattivoni non dobbiamo darla vinta”.
Accada sempre così,
e la cosa buffa è che
qualsiasi decisione venga presa,
non gli si può dire nulla,
come fanno, fanno,
fanno bene.

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