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Posts Tagged ‘figli’

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Pur di negare agli omosessuali un diritto,
quale quello della genitorialità,
che andrebbe garantito a chiunque,
se ne sentono di tutti i colori.

“Se un bambino viene affidato
a una coppia gay corre il rischio
di diventare gay”.

Embè? Anche se lo diventasse
dov’è il problema?
Ma poi, scusate,
i gay, pur essendo nati e cresciuti
da una coppia etero,
mica sono diventati etero?

“I figli hanno bisogno
di un padre e di una madre”.

Anche questo non è affatto vero,
innanzitutto perché “uomo” e “donna”
sono ruoli che apprendiamo
stando nella società,
non è scontato che una femmina
diventi “donna”, con tutto il relativo
bagaglio di valori che ne consegue:
sensibilità, senso materno, ecc…

Inoltre, esistono milioni
di famiglie monogenitoriali,
composte da vedove, ragazze madri
o più semplicemente da donne separate,
e nessuno va da loro a dirgli
“non puoi crescere tuo figlio
perché non ha la figura paterna”.

Per lo Stato Italiano
una donna, sola, è in grado
di crescere un figlio,
due persone, innamorate,
ma dello stesso sesso, no.

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Mi chiedo come sia possibile
che fino agli anni ’70 non si divorziava
praticamente mai, mentre poi dagli ’80
non si è capito più niente,
fino ad arrivare al boom
dei giorni nostri.

Credo che all’epoca ci fosse
più tolleranza tra i coniugi,
nonostante le persone si sposassero
senza conoscersi, spesso a causa
di matrimoni combinati.

Inoltre si aveva meno conoscenza
di quello che sarebbe stato il dopo,
il giudizio della gente era un ostacolo insormontabile
e le difficoltà burocratiche di un divorzio
non aiutavano di certo.

Premesso che spesso la gente
si separa per cazzate,
mi infastidisce quella che invece
a fronte di motivazioni serie
decide di non farlo adducendo
la scusa “lo faccio per i nostri figli”.

I figli non crescono sani e belli
avendo un padre e una madre posticci
che non si guardano o, peggio ancora,
che si menano dalla mattina alla sera.

L’apparenza di una famiglia felice
non produce alcun beneficio,
un genitore felice invece sì.

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Quella di Stamina è una brutta faccenda,
non entrerò nel merito
di chi ha torto o ragione,
non ne ho facoltà
e nemmeno mi interessa farlo.

Vorrei più che altro
spostare la questione sul popolo.

Avere a che fare con le persone
è già complicato di per sé,
quando poi queste sono
di basso ceto sociale
(perché nessuno tra coloro che hanno
manifestato nelle piazze era abbiente)
la frittata è bella che fatta.

Quando vai a fornire anche
solo un barlume di speranza
a dei genitori,
oltretutto disperati,
invadendo le tv ad ogni ora
del giorno con immagini
di esserini indifesi
ed agonizzanti che, a detta dei genitori,
sembrano dare segni di miglioramento,
vai a smuovere la cittadinanza
più bassa ed incontrollabile,
quella che sarebbe disposta
a qualsiasi gesto irrazionale
pur di tutelare i propri cari.

Una reazione veemente
di questi ultimi è preventivabile:
Maria Antonietta c’ha rimesso
la testa per la rabbia del popolo.

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Mi sono sempre chiesto
cosa spinga un figlio
abbandonato o malmenato
dai genitori,
a voler cercare di recuperare
a tutti i costi quel rapporto.

La risposta che mi sono dato
è che chiunque di noi
ha bisogno della certezza
che qualsiasi cosa facessimo,
giusta o disastrosa,
ci sarà qualcuno nel mondo
pronto ad amarci.

La famiglia è il punto
di riferimento per eccellenza,
un posto dove trovare rifugio.
Gli amici e gli amori passano,
per quanto possano diventare
“intimi” negli anni,
resteranno pur sempre degli estranei
o comunque dei familiari acquisiti
che per qualsiasi incomprensione
non esiteranno a girarti le spalle;
del resto, prima di incontrarti,
vivevano ugualmente bene.

I genitori invece no,
sono parte di te.
Senza voler entrare nei singoli casi,
dal loro ruolo, almeno teoricamente,
ci si aspetta estrema
comprensione e fedeltà.
Quando viene a mancare
questo sicuro appiglio familiare,
che altrove invece vedi esistere,
ti scopri solo e cerchi in ogni modo
di averne uno anche tu,
sebbene in cuor tuo
sai che non avrà mai
la stessa valenza di quello altrui.

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Passiamo una vita
a sentirci ripetere
dai nostri genitori:

“Non fai mai quello che ti dico”.

Come se da contratto
dovessimo obbedire ai loro ordini,
sovente camuffati sotto
forma di “consigli”.

Siamo persone diverse,
quello che può essere giusto
per loro, può non esserlo per noi,
lo spirito di contraddizione
c’entra ben poco,
è solo una carta giocata
dal genitore per giustificare
il fallimento della
propria imposizione.

Le sorti di una vita vengono decise
solo dal legittimo proprietario,
chiunque voglia metterci bocca
al massimo può essere ascoltato,
e già questa è una cortesia
che non va considerata
un atto dovuto.

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La sessualità delle 40enni
è una materia che mi affascina
a tal punto da averla
affrontata più volte
e sotto diverse sfumature.

Oggi vorrei toccare
l’aspetto della “reputazione”.

Una donna di 40 anni è arrivata,
non ha da dimostrare nulla a nessuno:
un lavoro lo ha,
degli amici di vecchia data anche,
così come un nutrito gruppo
di persone che si è fatto
un’idea ben consolidata di lei.

Se le è andata male,
avrà probabilmente anche un marito o,
peggio ancora, dei figli
(piccola nota di colore).

Alla luce di questo background,
la sessualità subisce
una repentina sterzata:
si passa da un atteggiamento
di chiusura, a uno di apertura.

Se esiste un preciso momento
in cui potersi concedere
delle piccole evasioni,
è proprio questo,
la donna a 40 anni scoppia,
perdendo i propri freni inibitori.

Ne conosco tante
che superati ampiamente i 30
non ce l’hanno fatta più a recitare
il copione della “buona madre di famiglia”.
Le più soggette al cambiamento
sono le “represse”,
le mogli di lunga data,
quelle che,
una volta cresciuti i figli,
non ci pensano su due volte
a lasciare il marito davanti alla tv
e dedicarsi al libertinaggio
fino a quando il fisico regge.

Nessuno potrà additarle
come “cattive donne”,
in quanto il buon esempio
lo hanno già dato in passato,
sono semplicemente donne che fino ai 40
hanno vissuto come volevano gli altri,
e che poi, all’apice della femminilità,
hanno deciso di vivere a modo loro.

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Una Ruota Che Gira Male

A me quasi spiace per mamma e papà:

quando erano figli loro,
i figli non contavano un cazzo;

adesso che sono diventati genitori,
sono i genitori a non contare un cazzo.

Vaglielo a spiegà
che purtroppo
è una ruota che gli gira male.

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Mi sto interrogando da un po’,
su cosa mi dia davvero felicità.

E per felicità non intendo
“cosa mi piace” o
“cosa mi fa star bene”,
ma cosa mi scaturisca ogni volta
una gioia profonda,
un’esplosione di emozioni
da non riuscire a controllarle.

Ho cominciato così a ricercare
la felicità tra chi mi circonda.

Alcuni impazziscono per i genitori,
sono le loro persone più importanti al mondo,
degli idoli con cui vivere a stretto contatto:
a me questo non accade,
c’è indubbiamente affetto,
rispetto, riconoscenza,
ma non la mia felicità.
Parenti alla lontana, men che meno.
Forse in passato ho avuto una persona
che mi dava felicità, però poi ho pensato
che se avessi continuato a frequentarla,
come ogni cosa,
alla lunga mi avrebbe stancato e la felicità
sarebbe andata a scemare diventando
“piacere” e poi “affezione”.
Era quindi da escludere.

Non ho ancora figli.

Allora ho cercato di farmi dare
una mano da chi ne sapeva
sicuramente più di me:
Freud con le sue 5 fasi.

1) fase orale =
mangiare non mi provoca piacere,
figuriamoci felicità,
lo vedo come un bisogno necessario
di cui farei volentieri a meno,
quasi un peso insomma,
odio stare più di 15 minuti a tavola.

2) fase anale =
essere felici perchè
si sta espletando la più bassa
delle funzioni fisiologiche,
non ritengo sia il massimo.

3-5) fase fallica & genitale =
trovare la propria felicità
nel sesso mi da tristezza,
può essere un piacere,
ma non il senso di una vita.
Come giudichereste uno che
termina la frase “io vivo per…”
con “scopare”?

4) fase di latenza =
amicizie e sviluppo fisico.
Chi trova la felicità
nello studio o nella palestra
secondo voi è normale?
E chi invece la trova
nell’uscire con gli amici?

Sto riscontrando davvero grosse
difficoltà a darmi una risposta,
forse trovo la mia felicità quando
riesco in qualcosa in cui non speravo,
ma non può bastare essere
felici per un avvenimento sporadico.

E tu?
Tu hai mai pensato a cosa
ti rende davvero felice?

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Ha molta più importanza
la rappresentazione
che si da del dolore,
del dolore stesso.

La mamma che rimprovera
i figli perchè hanno
la tv troppo alta
dopo che da poco
le è morta la sua di madre,

lo fa non per far
rispettare il proprio dolore,
ma perchè altrimenti le gente
sentendo che in quella casa
c’è “vita” penserebbe male.

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Siamo artefici delle nostre fortune (e sfortune).

Il problema, però,
sorge quando qualcuno (i genitori)
è costretto a passare
le proprie fortune a un altro (i figli)
che sistematicamente
le rovina e le fa chiudere.

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Sos Tata apre una finestra
sui rapporti coniugali,
oltre che sul mondo
dell’infanzia e dell’educazione.

I problemi con i figli
sovente sorgono a causa
degli attriti esistenti
tra i genitori.

Le donne saranno anche impedite
di loro nell’educare i pargoli,
però alla base c’è soprattutto
un rapporto di coppia vacillante
che costringe la donna
a farsi carico da sola del figlio.

Quando questo si verifica,
solitamente, le donne
reagiscono in una duplice maniera:

o si concentrano morbosamente
sul ruolo di madri, annullandosi
come mogli e andando così
incontro a un tradimento sicuro;

oppure diventando “libertine”,
cercando rapporti extra-coniugali
per evadere dalla routine famigliare
(le chat di incontri sono piene di questi casi).

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Un figlio non lo fate per voi,
bensì per lui e
per l’intera collettività,
sarebbe buona cosa, quindi,
darne alla luce almeno 2.

Sia perché così
si sosterranno a vicenda,
sia per non sentirvi responsabili,
nel vostro piccolo,
della riduzione della popolazione.

Messa così,
sembrerà spararla grossa,
però riflettendoci
un suo senso lo ha.

Per due persone destinate
a morire (i due genitori),
solo una è destinata a vivere (il figlio),
quindi se ogni coppia
decidesse di avere un solo figlio,
nel corso degli anni
la popolazione andrebbe
a dimezzarsi drasticamente.

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Di questo programma
mi ero già interessato in precedenza,
ma eccomi tornare nuovamente
sul luogo del delitto
per un secondo approfondimento
(ne seguirà prossimamente un terzo).

Ha un non so che di sadico
vedere queste mamme
sull’orlo di una crisi di nervi,
totalmente incapaci
a gestire i propri figli,
essere prima sbeffeggiate
con smorfie di disappunto/sbigottimento
e poi redarguite 
dalle tate osservatrici,
come la più classica
delle leggi del contrappasso.

Finalmente qualcuno che si erge
a paladino del pargolo
difendendolo dalle grinfie
del tiranno genitore.

S.O.S Tata è un po’
la nostra rivincita,
perchè altro non fa
che confermare ciò
che noi tutti figli ribelli
abbiamo pensato almeno
una volta nella vita:

“tu, il genitore non lo sai fare!”.

(P.S. Ho un debole per Tata Adriana)

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Per la donna l’amore
è una roulette,
dove non si scommettono
dei soldi sopra un numero,
ma dei sentimenti sopra un uomo.

La pallina gira e rigira
e non detto che cada
sul vostro attuale compagno,
anzi, quasi mai con lui vincerete
un matrimonio felice
con pargoli e poi nipotini
al seguito.

La pallina deve girare
tante, troppe volte
prima di fermarsi
sull’uomo giusto.

A bruciare maggiormente
sono i tentativi precedenti,
soprattutto quando
il vostro lui,
su cui avevate riposto
aspettative e sogni,
si rivela un bastardo spietato
che, dopo aver riscosso,
ha ben pensato di tagliare subito la corda.

Sovente sento donne
sostenere sconfortate:
“mi ha solo usata”.

A colpirmi è sempre stata
la parola “usata”,
una donna si sente “usata”,
per descrivere la sua condizione
adopera un termine
riconducibile agli oggetti,
gli oggetti si utlizzano
per poi metterli da parte,
non certo gli esseri umani.

Però, tutto sommato,
esso ha una sua logica.

La donna viene effettivamente
trattata come un oggetto,
una bambolona che,
dopo aver preso da lei
quello che si voleva, via!
Viene accantonata,
senza tra l’altro alcun
accenno di spiegazione,
il vigliacco sparisce
dalla circolazione e diviene
irreperibile non rispondendo
alle telefonate e agli sms.

Ormai lo sfizio sel’è tolto,
e adesso guarda già al prossimo
trofeo da riporre in bacheca.

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I rapporti di coppia
finirebbero di meno
se entrambe le parti
si chiedessero sovente
il perchè l’altro
dovrebbe stare con loro,
cosa danno per ottenere
la fedeltà in cambio.

Sarà che ho una visione
tutta personale del partner,
nel mio caso della donna.

Io vedo in lei
la futura madre dei nostri figli,
la figura incaricata
di educarli e di portare
avanti da sola la casa:
ruoli di enorme responsabilità
che necessitano di
una lauta ricompensa,
non certo monetaria…

Inoltre, troppo spesso
dimentichiamo anche che lei
ha deciso di condividere
la vita con un estraneo,
facendo ricadere la scelta
proprio su di noi:
e stavolta la responsabilità
di non deluderla e di rispettare
le sue aspettative è la nostra.

Per questo resto basito
quando vedo uomini maltrattare,
non rispettare o addirittura
malmenare la propria donna.

Accipicchia ma come si fa?
Invece di valorizzarla,
coccolarla e non farla
pentire di stare con loro
questi la sminuiscono.

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Quello che dovrebbe essere
un normale passaggio della vita
e un valore aggiunto
per ogni uomo/donna,
come la paternità/maternità,
diventa invece un elemento
fortemente discriminatorio
ai fini di una nuova relazione.

I figli e la vita
precedente vengono
ritenuti un “problema”
da tutte le persone
con la fedina
matrimoniale pulita che,
quando scoprono
dei vincoli famigliari,
se la danno a gambe levate.

È triste vedere
padri e madri
trovare solo partner
anch’essi padri o madri,
oppure vederli
mentire sul loro passato,
negando di aver avuto
figli e matrimonio
pur di stare con chi
a loro piace.

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L’amore può far
fare cose incredibili.

Riesco a fatica a trattenere le lacrime
quando vedo, o mi raccontano,
di persone anche poco istruite che,
in punto di morte,
con l’ultimo filo di voce,
raccomandano a chi gli sta accanto,
di badare al coniuge o ai suoi figli.

Se uno si sofferma
a rifletterci bene,
questo ha dello straordinario.

Cioè starai sicuramente provando
un dolore fisico della Madonna,
e te lo sentirai che stavolta
stai rischiando seriamente di morire,
perchè certe cose le senti…
ma te ne frega niente,
prima di trapassare
la tua unica preoccupazione
non è per te stesso,
così come dovrebbe essere,
ma è per le persone a te care.

“Non le posso
più guidare io,
fatelo voi per me,
ne hanno bisogno”.

In quel momento
dimostri che,
fino ad allora
hai vissuto per loro,
e quello che più conta per te
non è la tua condizione di salute,
quella ti serviva solo per
badare ai tuoi cari,
e ora che non ti sarà consentito
farlo più, l’unica cosa
che potrebbe rassenerarti
è la certezza di lasciare le
persone amate in buone mani.

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Si dice che i nipoti
siano “due volte figli”,
in effetti l’attaccamento
che i nonni hanno verso
di loro è maggiore
di quanto lo abbiano
avuto verso i propri figli,
questo perchè i nonni:

1) Non lavorando,
hanno molto più tempo
da dedicare ai nipoti.
2) Hanno acquisito maggiore maturità.
3) Ricevono una “botta di vita”.
4) Possono tornare a fare cose da “giovani”.
5) Riescono a sentirsi utili.

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Non so se siete
fatalisti o meno,
a me piace avere una visione
“romantica” delle vita
e credere quindi nel destino.

In tal senso una cosa
su cui mi sono sempre
soffermato a ragionare,
invitando ora a farlo anche a voi,
è che, proprio in questo momento,
in un’altra parte del mondo,
c’è la persona che
amerete alla follia,
che sposerete,
da cui avrete dei figli,
che poi odierete a tal punto
da divorziarci
ma che ricorderete
comunque come la più importante
storia d’amore che
abbiate mai avuto.

Due treni che corrono
momentaneamente
su binari paralleli,
senza mai conoscersi nè
incontrarsi, almeno
fino a quando, a un certo
punto del percorso,
una fortuita deviazione
li farà camminare
sullo stesso binario,
e sarà un incontro memorabile,
di quelli che apporteranno
modifiche permanenti
alla vostra vita.

Quella persona può
anche darsi che non sia
poi così distante da voi,
che magari vi passa accanto
tutte le mattine senza
però che voi ci facciate caso,
e messa così è incredibile,
non accorgersi di colei che
un domani avrà per voi un ruolo
da indiscussa protagonista:
a me questa cosa fa impazzire.

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L’affidamento congiunto
è una barbarie.

I bambini vengono
presi e spediti
ogni tot giorni
come pacchi postali
da una casa all’altra.

Ciò comporta una totale
instabilità nel minore:

due famiglie,
due camerette,
due raccolte di giocattoli,
due stili di vita,
due alimentazioni,
ecc… ecc…

Senza poi trascurare
l’imbarazzo provocato
ai nuovi partner dei genitori
che si ritrovano in casa
dei figli non propri
da accudire amorevolmente
e che gli condizionano
la quotidianeità.

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Spero non vi siate
mai imbattuti in
quei giornaletti da 1€
(come ad esempio “Di più”)
rivolti a un pubblico
anziano o pettegolo.

All’interno, verso la fine,
è un classico trovare “la lettera”:
figli che scrivono alle madri vip,
mogli vip che scrivono ai mariti vip,
corteggiatrici che scrivono ai tronisti
e chi più ne ha, più ne metta.

Il dubbio che sorge spontaneo è:
ma invece di inscenare tutta
questa pantomima sbandierando
il vostro privato ai quattro venti,
non sarebbe più semplice
farsi una telefonata?

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Uno dei cattivi costumi della tv italiana
è la spettacolarizzazione del dolore,
l’andare vicino al parente della vittima
per chiedergli “cosa sta provando in questo momento?”,
oppure “cosa si sente di dire all’assassino?”.

I media danno però il meglio di loro quando
devono trattare i caduti in guerra.
Lì la prima cosa che si fa è scavare
nelle vite dei poveri soldati per cercare
gli argomenti più pietosi:

“lascia moglie e 3 figlie”,
“doveva tornare tra una settimana”
“era appena partito”,
“aveva solo 23 anni”,
“stava mettendo da parte i soldi per il mutuo”,
“era stimato e amato da tutti”.

Il che non fa altro che suscitare
compassione e interesse nello spettatore,
con conseguente boom di share per i vari
D’urso, Vespa, matrix e la vita in diretta
che sciacalleranno sopra per settimane.

Il passo successivo è poi il “martirio” del caduto.
Lasciano credere che i poveretti
c’hanno fatto un piacere ad andare lì,
come se fossimo quasi noi i colpevoli dell’accaduto.
Sapete com’è, sono militari,
vanno nel bel mezzo di una guerra civile,
dove ci sono sparatorie e scoppiano bombe ogni giorno,
prendendo fior fior di quattrini
proprio per l’alto rischio a cui vanno incontro.

Stranamente, però, quando
muoiono nessuno se lo aspetta,
cadono tutti dalle nuvole,
“ma come, non erano andati in villeggiatura in Afghanistan? Come è potuto accadere?”

Sono morti facendo il loro dovere:
nessun santo, nessun martire, e soprattutto nessuna sorpresa.
Quello che deve fare davvero rabbia
è sentire gente che nel 2010 ancora muore
in cantieri/fabbriche/industrie,
quello si che ci dovrebbe sorprendere.

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Buttiamo troppi soldi per i defunti.

Trovo inutile “regalare” dei fiori
(che oltretutto appassiranno, doppia inutilità)
a qualcuno che ormai non c’è più.

Solitamente facciamo un regalo
per acccontentare quella persona,
strapparle un sorriso o un’emozione.

Non capisco invece il motivo
di regalare fiori a “nessuno”,
è molto patetico, l’unica giustificazione
rintracciabile è quella di sentiri
apposto con la coscienza.

Il regalo risulta quindi un qualcosa
che facciamo per noi, non per l’altro.

Piuttosto che sperperare gli averi
in questo modo, dateli come paghetta ai vostri figli:
investite sulla vita, non sulla morte.

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La famiglia impone la propria dittatura
sui figli fino al compimento dei 14 anni,
ovvero fino a quando l’universo di questi ultimi,
con l’innesto nelle scuole superiori,
si allarga oltre ai parenti e ai genitori.

Dopo urge necessariamente un cambio di strategia
e l’approdo a una “democrazia moderata”,
fondata sul dialogo e la comunione di intenti.
Si rischierebbe altrimenti di continuare
a far germogliare rancore nei figli
con il conseguente abbandono degli stessi
e il presagio di una vecchiaia in solitudine.

Non serve ritenere di aver preso quella
determinata decisione “per il loro bene”,
convinti di “agire nel giusto”,
perchè le persone sono diverse,
e quello che è giusto per il genitore
può non esserlo per i figli.

Del resto nessuno deve avere
la presunzione di sapere cosa è giusto
o meno per un altro, perchè per quanto
ne si ha conoscenza, non si possono
cogliere tutte le sfumature
di una vita non propria.

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I genitori rimproverano,
anche accoratamente, i propri
figli quando parlano in dialetto;
dimenticando che in fase di sviluppo
sono loro stessi i modelli
imitativi da cui traggono sapere
ed educazione i pargoletti.

Se i genitori abusano di termini dialettali
non possono pretendere che i figli parlino
un italiano corretto e forbito.

E’ come se i figli dei camorristi
diventassero paladini della legge:
non impossibile, ma mooolto difficile.

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I genitori di solito si giustificano
rispondendo che danno il cellulare al figlio ancora piccolo
per poter stare più tranquilli quando si trova in giro,
quando non lo possono controllare direttamente,
cioè quando non è a portata dello sguardo del genitore,
così essi placano la loro ansia.

Ma in realtà l’ansia del genitore, attraverso l’abitudine continuata
alla facile reperibilità del figlio aumenta invece che diminuire,
perché basta che il figlio non risponda alla chiamata
che subito si pensa ad una catastrofe.

Lo stesso si può dire del figlio che si abitua
ad avere un genitore sempre a disposizione
ovunque si trovi e in qualunque momento, 24 ore su 24,
così succede che non impara mai a essere solo di fatto.

E poi ci si chiede come mai aumentano
gli attacchi di panico tra gli adulti e gli adolescenti.

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Padre

 

Uno dei più bei complimenti
che si può ricevere da una donna:

“Voglio che tu sia il padre dei miei figli, dei nostri figli”

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