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Posts Tagged ‘genitori’

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Quella di Stamina è una brutta faccenda,
non entrerò nel merito
di chi ha torto o ragione,
non ne ho facoltà
e nemmeno mi interessa farlo.

Vorrei più che altro
spostare la questione sul popolo.

Avere a che fare con le persone
è già complicato di per sé,
quando poi queste sono
di basso ceto sociale
(perché nessuno tra coloro che hanno
manifestato nelle piazze era abbiente)
la frittata è bella che fatta.

Quando vai a fornire anche
solo un barlume di speranza
a dei genitori,
oltretutto disperati,
invadendo le tv ad ogni ora
del giorno con immagini
di esserini indifesi
ed agonizzanti che, a detta dei genitori,
sembrano dare segni di miglioramento,
vai a smuovere la cittadinanza
più bassa ed incontrollabile,
quella che sarebbe disposta
a qualsiasi gesto irrazionale
pur di tutelare i propri cari.

Una reazione veemente
di questi ultimi è preventivabile:
Maria Antonietta c’ha rimesso
la testa per la rabbia del popolo.

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Passiamo una vita
a sentirci ripetere
dai nostri genitori:

“Non fai mai quello che ti dico”.

Come se da contratto
dovessimo obbedire ai loro ordini,
sovente camuffati sotto
forma di “consigli”.

Siamo persone diverse,
quello che può essere giusto
per loro, può non esserlo per noi,
lo spirito di contraddizione
c’entra ben poco,
è solo una carta giocata
dal genitore per giustificare
il fallimento della
propria imposizione.

Le sorti di una vita vengono decise
solo dal legittimo proprietario,
chiunque voglia metterci bocca
al massimo può essere ascoltato,
e già questa è una cortesia
che non va considerata
un atto dovuto.

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Una Ruota Che Gira Male

A me quasi spiace per mamma e papà:

quando erano figli loro,
i figli non contavano un cazzo;

adesso che sono diventati genitori,
sono i genitori a non contare un cazzo.

Vaglielo a spiegà
che purtroppo
è una ruota che gli gira male.

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Mi sto interrogando da un po’,
su cosa mi dia davvero felicità.

E per felicità non intendo
“cosa mi piace” o
“cosa mi fa star bene”,
ma cosa mi scaturisca ogni volta
una gioia profonda,
un’esplosione di emozioni
da non riuscire a controllarle.

Ho cominciato così a ricercare
la felicità tra chi mi circonda.

Alcuni impazziscono per i genitori,
sono le loro persone più importanti al mondo,
degli idoli con cui vivere a stretto contatto:
a me questo non accade,
c’è indubbiamente affetto,
rispetto, riconoscenza,
ma non la mia felicità.
Parenti alla lontana, men che meno.
Forse in passato ho avuto una persona
che mi dava felicità, però poi ho pensato
che se avessi continuato a frequentarla,
come ogni cosa,
alla lunga mi avrebbe stancato e la felicità
sarebbe andata a scemare diventando
“piacere” e poi “affezione”.
Era quindi da escludere.

Non ho ancora figli.

Allora ho cercato di farmi dare
una mano da chi ne sapeva
sicuramente più di me:
Freud con le sue 5 fasi.

1) fase orale =
mangiare non mi provoca piacere,
figuriamoci felicità,
lo vedo come un bisogno necessario
di cui farei volentieri a meno,
quasi un peso insomma,
odio stare più di 15 minuti a tavola.

2) fase anale =
essere felici perchè
si sta espletando la più bassa
delle funzioni fisiologiche,
non ritengo sia il massimo.

3-5) fase fallica & genitale =
trovare la propria felicità
nel sesso mi da tristezza,
può essere un piacere,
ma non il senso di una vita.
Come giudichereste uno che
termina la frase “io vivo per…”
con “scopare”?

4) fase di latenza =
amicizie e sviluppo fisico.
Chi trova la felicità
nello studio o nella palestra
secondo voi è normale?
E chi invece la trova
nell’uscire con gli amici?

Sto riscontrando davvero grosse
difficoltà a darmi una risposta,
forse trovo la mia felicità quando
riesco in qualcosa in cui non speravo,
ma non può bastare essere
felici per un avvenimento sporadico.

E tu?
Tu hai mai pensato a cosa
ti rende davvero felice?

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Siamo artefici delle nostre fortune (e sfortune).

Il problema, però,
sorge quando qualcuno (i genitori)
è costretto a passare
le proprie fortune a un altro (i figli)
che sistematicamente
le rovina e le fa chiudere.

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Sos Tata apre una finestra
sui rapporti coniugali,
oltre che sul mondo
dell’infanzia e dell’educazione.

I problemi con i figli
sovente sorgono a causa
degli attriti esistenti
tra i genitori.

Le donne saranno anche impedite
di loro nell’educare i pargoli,
però alla base c’è soprattutto
un rapporto di coppia vacillante
che costringe la donna
a farsi carico da sola del figlio.

Quando questo si verifica,
solitamente, le donne
reagiscono in una duplice maniera:

o si concentrano morbosamente
sul ruolo di madri, annullandosi
come mogli e andando così
incontro a un tradimento sicuro;

oppure diventando “libertine”,
cercando rapporti extra-coniugali
per evadere dalla routine famigliare
(le chat di incontri sono piene di questi casi).

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Un figlio non lo fate per voi,
bensì per lui e
per l’intera collettività,
sarebbe buona cosa, quindi,
darne alla luce almeno 2.

Sia perché così
si sosterranno a vicenda,
sia per non sentirvi responsabili,
nel vostro piccolo,
della riduzione della popolazione.

Messa così,
sembrerà spararla grossa,
però riflettendoci
un suo senso lo ha.

Per due persone destinate
a morire (i due genitori),
solo una è destinata a vivere (il figlio),
quindi se ogni coppia
decidesse di avere un solo figlio,
nel corso degli anni
la popolazione andrebbe
a dimezzarsi drasticamente.

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Di questo programma
mi ero già interessato in precedenza,
ma eccomi tornare nuovamente
sul luogo del delitto
per un secondo approfondimento
(ne seguirà prossimamente un terzo).

Ha un non so che di sadico
vedere queste mamme
sull’orlo di una crisi di nervi,
totalmente incapaci
a gestire i propri figli,
essere prima sbeffeggiate
con smorfie di disappunto/sbigottimento
e poi redarguite 
dalle tate osservatrici,
come la più classica
delle leggi del contrappasso.

Finalmente qualcuno che si erge
a paladino del pargolo
difendendolo dalle grinfie
del tiranno genitore.

S.O.S Tata è un po’
la nostra rivincita,
perchè altro non fa
che confermare ciò
che noi tutti figli ribelli
abbiamo pensato almeno
una volta nella vita:

“tu, il genitore non lo sai fare!”.

(P.S. Ho un debole per Tata Adriana)

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Genitori

I genitori sono
custodi dei figli,
non possessori.

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L’affidamento congiunto
è una barbarie.

I bambini vengono
presi e spediti
ogni tot giorni
come pacchi postali
da una casa all’altra.

Ciò comporta una totale
instabilità nel minore:

due famiglie,
due camerette,
due raccolte di giocattoli,
due stili di vita,
due alimentazioni,
ecc… ecc…

Senza poi trascurare
l’imbarazzo provocato
ai nuovi partner dei genitori
che si ritrovano in casa
dei figli non propri
da accudire amorevolmente
e che gli condizionano
la quotidianeità.

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Da anni, ormai come uno stereotipo,
appena si parla di
“trash televisivo”
il primo programma
menzionato è “Uomini e Donne”.

In realtà la tv spazzatura
è altra, è qualcosa di concordato,
scritto a tavolino
e voluto dagli autori.

Cito Aldo Grasso:

“Domenica Cinque è diventata un’osteria,
di quelle che si sapeva che tutto
finiva in litigio se non in botte.
La cosa curiosa è che la spazzatura
della Perego era volontaria, ricercata,
gli autori si mettevano lì
e si ingegnavano su quale schifezza
proporre la domenica pomeriggio”.

Uomini e donne,
benchè c’è chi sostiene il contrario,
non ha alle spalle una scrittura
autoriale chissà quanto articolata,
si limita a mostrare delle esterne
e, in base a queste, a vedere
la reazione dei corteggiatori/trici
che è ipotizzabile, ma non scontata,
il corteggiatore non viene
portato con la mano dagli autori
a sbroccare, è lui che in base
al suo background decide
eventualmente di farlo.

In fondo “Uomini e Donne”
è una finestra sulla società
e, soprattutto, sui giovani di oggi.

Se i nostri ragazzi
sono smaniosi di apparire
o per un nonnulla
aggrediscono verbalmente
il proprio interlocutore
non possiamo mica prendercela
con chi manda in onda
queste reazioni spontanee,
ma forse con i genitori
che non sono stati in grado
di educare i loro figli a dovere.

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Tempo fa sentii da una donna
una riflessione che mi colpì.

Ella parlava della sua esperienza
personale, confessando che da quando
era uscita dalla casa familiare
per andare a vivere col proprio uomo,
non sentiva più il Natale come prima.

Perchè, se ci pensiamo, sono i nostri
genitori a portare avanti le tradizioni,
ad ornare casa, a cucinare i piatti natalizi,
ad addobbare lo stesso albero di Natale.

Una volta che essi vengono a mancare,
o perchè ci trasferiamo o perchè muoiono,
nessuno più ha per noi la preoccupazione
di ricreare quell’atmosfera.

Il delitto perfetto è poi compiuto
se abbiamo un lavoro stressante da portare avanti:
questo è il classico caso in cui
il tempo libero lo si preferisce
passarlo al cinema o nel letto a riposare
piuttosto che ad attaccare palline all’albero.

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Si diventa etero
per tradizione e imitazione,
quasi mai per convinzione.

A tale ragione si spiega
l’ostruzionismo della chiesa
alla coppie omosessuali:

i genitori gay sarebbero
un “pessimo” modello imitativo
per il loro figlio adottivo,
che rischierebbe seriamente
di percorrere la stessa
“strada sbagliata” dei genitori.

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La famiglia impone la propria dittatura
sui figli fino al compimento dei 14 anni,
ovvero fino a quando l’universo di questi ultimi,
con l’innesto nelle scuole superiori,
si allarga oltre ai parenti e ai genitori.

Dopo urge necessariamente un cambio di strategia
e l’approdo a una “democrazia moderata”,
fondata sul dialogo e la comunione di intenti.
Si rischierebbe altrimenti di continuare
a far germogliare rancore nei figli
con il conseguente abbandono degli stessi
e il presagio di una vecchiaia in solitudine.

Non serve ritenere di aver preso quella
determinata decisione “per il loro bene”,
convinti di “agire nel giusto”,
perchè le persone sono diverse,
e quello che è giusto per il genitore
può non esserlo per i figli.

Del resto nessuno deve avere
la presunzione di sapere cosa è giusto
o meno per un altro, perchè per quanto
ne si ha conoscenza, non si possono
cogliere tutte le sfumature
di una vita non propria.

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I genitori rimproverano,
anche accoratamente, i propri
figli quando parlano in dialetto;
dimenticando che in fase di sviluppo
sono loro stessi i modelli
imitativi da cui traggono sapere
ed educazione i pargoletti.

Se i genitori abusano di termini dialettali
non possono pretendere che i figli parlino
un italiano corretto e forbito.

E’ come se i figli dei camorristi
diventassero paladini della legge:
non impossibile, ma mooolto difficile.

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Quando si conosce l’anima gemella,
perdendo la testa a vicenda,
bisogna mettere in preventivo
che in un futuro neanche troppo prossimo
la si debba “realizzare” come donna
rendedola prima sposa e poi madre.

Il vestito bianco, l’altare,
sono un piccolo “momento di gloria”,
il loro punto massimo “d’arrivo”
visto che di successi sul lavoro,
storicamente, non sono
destinate ad averne molti.

La maternità è qualcosa di innato
per l’universo femminile, fin da piccole
sognano di essere genitori coccolando
e accudendo quel bambolotto.
La crescita di un figlio è ciò che serve alla donna,
in caso di scarse gratificazioni lavorative,
per dimostrare alla comunità di valere,
di essere utile a qualcosa.

Per il genitore maschio, invece,
la paternità, se vissuta bene, è l’apoteosi.
Alla felicità di avere un figlio si somma,
soprattutto, la felicità dell’aver reso
felice la donna che si ama.

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Dei bambini mi ha sempre affascinato
il loro non portare rancore ai genitori.

Da adulti quando qualcuno ci
manca di rispetto o,
peggio ancora, ci picchia,
lo detesteremo a morte per la vita.

Nei bimbi questo stranamente non accade.
Che essi vengano sgridati o picchiati,
in un primo momento hanno una reazione
spontanea, ovvero scagliarsi contro
il proprio genitore con il pianto e,
in alcuni casi, con le mani.

Successivamente, finita la sfuriata,
tornano sui loro passi, sorridendo
come se nulla fosse accaduto,
come se il genitore che l’attimo prima
gli aveva causato dolore e rabbia
si fosse tramutato nella fata turchina.

Stimolante sarebbe capire
se lo fanno perchè “innocenti”
(termine abbastanza vago),

perchè “obiettivi”
(capiscono i loro sbagli),

o perchè “furbi”…
(i due rompipalle gli servono ancora).

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I genitori di solito si giustificano
rispondendo che danno il cellulare al figlio ancora piccolo
per poter stare più tranquilli quando si trova in giro,
quando non lo possono controllare direttamente,
cioè quando non è a portata dello sguardo del genitore,
così essi placano la loro ansia.

Ma in realtà l’ansia del genitore, attraverso l’abitudine continuata
alla facile reperibilità del figlio aumenta invece che diminuire,
perché basta che il figlio non risponda alla chiamata
che subito si pensa ad una catastrofe.

Lo stesso si può dire del figlio che si abitua
ad avere un genitore sempre a disposizione
ovunque si trovi e in qualunque momento, 24 ore su 24,
così succede che non impara mai a essere solo di fatto.

E poi ci si chiede come mai aumentano
gli attacchi di panico tra gli adulti e gli adolescenti.

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