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Posts Tagged ‘italiano’

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Quanto è paraculo l’italiano.
Inteso sia come lingua che come persona.

Quando l’altro non afferra
il tuo discorso eviti di dirgli,
come è giusto che sia,

“No guarda, non hai capito una mazza”,

ti prendi tu la responsabilità
scegliendo di passare dalla parte del torto:

“No, scusa, evidentemente non mi sono spiegato”.

In cambio, però, ci rimedi una bella figura
lasciando credere all’interlocutore
di essere una persona umile
e che hai stima di lui.

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Era il giorno di Pasqua,
stavo fuori casa, spaparanzato
su un divano, in attesa
che mi chiamassero
per la tradizionale abbuffata,
giravo nevroticamente
i canali tv alla ricerca
di qualcosa che non fosse una replica
o una telecamomilla per anziani,
quando improvvisamente mi
imbatto in questo programma, “Italianissimi”,
su ABC, canale 33 del digitale terrestre.

Sono rimasto subito flashato.

Devo confessarvi la verità,
per quanto cerchi di limitare
il maschio alpha
che alberga anche in me,
ciò che d’istinto mi ha
fatto desistere dal cambiare
canale è la conduttrice gnocca,
Laura Fantuzzi, da lì poi
è venuto tutto il resto.

Inizialmente pensavo fosse
il solito tutorial per far
apprendere l’inglese
a noi italiani duri di comprendonio,
invece no, il programma
puntava a far apprendere
l’italiano agli stranieri!

Per quanto fosse nobile l’intento,
nei fatti, il risultato
era abbastanza strampalato,
tanto è vero che il programma
sembra essersi interrotto
proprio dopo la prima puntata.

La cosa che mi ha colpito
maggiormente era che
insegnava l’italiano agli stranieri,
in italiano, un italiano complesso
e parlato, oltretutto, velocemente,
quando si presuppone che i telespettatori
stranieri l’italiano non lo sapessero affatto.

A dire il vero dopo veniva data
anche una rapida spiegazione in inglese,
ma la Fantuzzi si impappinava sovente
dando l’impressione di non padroneggiare
appieno la lingua, e anche la pronuncia
maccheronica lasciava molto a desiderare.

Insomma, un vero disastro,
ma una chicca imperdibile
per gli amanti del trash televisivo.

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Il maschilismo della nostra
società ha radici antichissime,
è intorno a noi,
talmente radicato
da passare quasi inosservato.

La lingua di una nazione,
come asserisco da sempre,
dice molto sul popolo
che la utilizza.

Riflettete su quanto l’italiano,
con le sue espressioni,
con i suoi modi di dire
pone la donna in una condizione
di sudditanza rispetto all’uomo.

La donna è “il sesso debole”
(inferiore già in partenza),
però se dimostra di essere
sveglia e degna di rispetto
ecco che viene accostasta ad attributi
esclusivamente maschili
(ha le palle, è cazzuta, porta i pantaloni).

D’altro canto, l’uomo,
quando lo si vuole offendere,
è inevitabile l’accostamento alla donna,
ovviamente nell’accezione negativa
(è una femminuccia, è uno sfigato).

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Tere ishq mein, dooba rahe din raat yoon hi sada,
mere khwaab se aankhein teri, ik pal bhi na hoye juda.
Mera naam tu haathon pe apne likhe baar haan,
Aye kaash ke aisa bhi ek din laaye wo Khuda,

Tu hi mera, mera, mera.

Hai teri chahat, teri zaroorat,
Sooni hai tujh bin, duniya meri,
Naa reh sakoonga, main door inn se,
hai meri jannat, galiyaan teri

Ummeed yeh seene mein leke,
main hoon jee raha,
kabhi tu mile, mujh se kahe ke,
main hoon bas tera.

Tu hi mera mera mera.

Tu hi hai kismat, tu hi hai rehmat,
tujh se judi hai, meri har khushi,
tu hi mohabbat, tu hi hai raahat,
lagti bhali hai, teri saadgi,

Paata hoon khud ko har ghadi, tere bina tanha,
mujhe thaam le, mujhe rok le,
bhatka hoon main bhatka.

Tu hi mera mera mera.

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Sono immerso nel tuo amore,
di giorno, di notte e sempre.
Lascia che i tuoi occhi non si separino mai dai miei sogni
e tu scriverai il mio nome sulla tua mano, ancora e ancora,
prego Dio affinché mi porti un giorno così…

Tu sei mia, mia e solo mia.

Il tuo amore è ciò di cui ho bisogno,
il mio mondo è vuoto senza di te,
non posso starti lontano,
sei il mio cielo.

Sto vivendo con nel cuore la speranza
che ci incontreremo e che tu mi dica
che sono solo tuo.

Tu sei mia, mia e solo mia.

Tu sei il mio destino, la mia benedizione
ogni mia felicità è legata a te
tu sei il mio amore, il mio solo sollievo
e la tua semplicità è divina.

Ogni momento mi sento solo senza di te,
stringimi, fermami,
sono perso…

Tu sei mia, mia e solo mia.

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La lingua italiana è già
di per sé piena di falle,
tanto che da sempre vorrei
aprire una categoria del blog
solo per elencarne qualcuna.

Capita poi che gli stessi
italiani si mettano a complicare
qualcosa che già di suo lo è.

Io ho sempre saputo,
e non mi sbagliavo…
che “piuttosto che”
significasse “invece di”,
e venisse usato per
esprimere una preferenza:

“piuttosto che stare con te, mi faccio prete”
cioè, preferisco la castità alla tua persona.

Da anni a questa parte
qualche luminare ha incominciato
a utilizzare, ERRONEAMENTE, “piuttosto che”
come congiunzione, al posto
di “o”, “oppure”, a volte anche “e”:

Esempio:
“per la dieta utilizza il pane integrale,
piuttosto che la verdura,
piuttosto che il latte parzialmente scremato”,
ovvero, puoi utilizzare sia l’uno
che l’altro che l’ancora.
Non c’è esclusione, anzi.

Capirete che il significato originario
del termine viene completamente stravolto
creando non poca confusione nell’ascoltatore,
che si domanderà di continuo:

“e adesso questo cosa vorrà dire?
Un “piuttosto che” che esclude
o che include?

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A me piace molto
soffermarmi sulle sfumature
di una lingua, su quelle cose
dette automaticamente,
senza pensarci sopra più di tanto,
ma che in sé racchiudono
la cultura di un popolo.

La società italiana,
ad esempio, è palesemente
fallocratica da sempre,
ed infatti la sua lingua
la rispecchio appieno.

Avete fatto mai caso
a quanta importanza diamo
alle parole “palle” e “cazzo”?
Moltissima, tanto è vero
che le utilizziamo
un po’ ovunque e in diverse forme:

ne ho piene le palle,
hai rotto le palle,
mi hai fatto scendere le palle,
che palle,
che palla hai detto,
‘sti cazzi,
cazzi amari,
ecc… ecc…

La parola “figa” la si usa raramente,
mentre “tette” mai.

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Bene Comune

Per l’italiano il “bene comune”
non è di tutti,
quindi anche il suo,
bensì degli altri:
a tal ragione può abusarne o non rispettarlo.

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Si è soliti esultare più
per una vittoria arrivata
con un gol al 94°
che invece per una
messa in cassaforte già nel primo tempo:

sempre per quel malcostume
che vede l’italiano medio soddisfatto
di aver fottuto immeritatamente il prossimo.

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We all bear the scars,
yes, we all feign a laugh;
we all sigh in the dark
get cut off before we start.

And as the first act begins
you realize they’re all waiting
for a fall, for a flaw,
for the end.

There’s a path stained with tears,
could you talk to quiet my fears?
Could you pull me aside
just to acknowledge that I’ve tried?

And as your last breath begins,
contently take it in,
because we all get it in
the end.

And as your last breath begins,
you find your demon’s your best friend.
And we all get it in
the end.

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Tutti portiamo le cicatrici,
sì, tutti fingiamo una risata;
noi tutti sospiriamo nel buio
tagliati fuori prima di cominciare.

E mentre il primo atto inizia
realizzi che stanno tutti aspettando
per una caduta, per un difetto,
per la fine.

C’è un percorso macchiato di lacrime,
potresti parlare per acquietare le mie paure?
Potresti prendermi da parte
solo per apprezzarmi d’averci provato?

E mentre l’ultimo respiro inizia,
felicemente ributtalo dentro
perché capita a tutti
nella fine.

E mentre l’ultimo respiro inizia
scopri che il tuo demone è il tuo migliore amico.
E capita a tutti
nella fine.

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I genitori rimproverano,
anche accoratamente, i propri
figli quando parlano in dialetto;
dimenticando che in fase di sviluppo
sono loro stessi i modelli
imitativi da cui traggono sapere
ed educazione i pargoletti.

Se i genitori abusano di termini dialettali
non possono pretendere che i figli parlino
un italiano corretto e forbito.

E’ come se i figli dei camorristi
diventassero paladini della legge:
non impossibile, ma mooolto difficile.

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No te olvidaré
solo pienso en ti.
Jamás comprenderé
como te perdí.
Y aunque el tiempo ya paso
desde que todo terminó,
aun no sé que sucedió.

Yo sé que no te olvidaré
ni guardo rencor.
A ti renunciaré
sin explicación.

Puedo fingir cuando te veo
que no te extraño y no te quiero,
y aunque jamás me veas llorando,
mi corazón te sigue amando.

Por eso no te olvidaré
a pesar que sufrí.
No me arrepentiré
porque de ti aprendí
que a veces el amor no es lo que esperas
hay que salvarlo como puedas
y si no hay otra solución,
pues es mejor decir adios.

Quizas encuentres alguien en tu vida,
y te enamoras algun día,
y si ese amor al fin te olvida,
y necesitas de una amiga.

Recuerda, no te olvidaré,
te espero aqui,
si a mi quieres volver
yo te haré feliz.

Puedo fingir cuando te veo
que no te extraño y no te quiero,
y aunque jamás me veas llorando,
mi corazón te sigue amando.

A veces el amor no es lo que esperas
hay que salvarlo como puedas
y si no hay otra solución,
pues es mejor decir adios.

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Non ti dimenticherò,
penso solo a te,
non capirò mai come ti ho perso
e anche se è passato del tempo da quando tutto finì
ancora non ne capisco le ragioni.

So che non ti dimenticherò,
nè serbo rancore,
rinuncerò a te senza una spiegazione.
Posso fingere quando ti vedo
che non mi manchi e che non ti voglio bene
e anche se non mi vedrai piangere,
il mio cuore ti amerà ancora.

Per questo non ti dimenticherò
e nonostante la sofferenza
non mi pento,
perché grazie a te ho imparato
che l’amore a volte non è quello che ci si aspetta.
Devi salvarlo come puoi
e se non trovi altra soluzione
è meglio dirsi addio.

Forse troverai qualcun altro nella tua vita.
e un giorno te ne innamorerai,
e se questo amore alla fine ti dimentica
e avrai bisogno di un’amica,
ricorda, non ti dimenticherò, ti aspetterò qui,
se da me vorrai tornare ti renderò felice.

Posso fingere quando ti vedo
che non mi manchi e che non ti voglio bene
e anche se non mi vedrai piangere,
il mio cuore ti amerà ancora.
A volte l’amore non è quello che ti aspetti
devi salvarlo come puoi
e se non trovi altra soluzione
è meglio dirsi addio.

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