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Posts Tagged ‘pubblico’

In tv se non sei microfonato
lo spettatore a casa
non ha alcuna possibilità
di ascoltare ciò che stai dicendo,
nemmeno se stai lontano
di soli 10 centrimentri
da qualcuno che invece
il microfono lo ha.

Spiegato brevemente
questo tecnicismo
che tutti già conoscevate,
vi porto a riflettere
su come sia possibile
che gli applausi o le risate
dei pubblici presenti
negli studi televisivi
arrivino nelle case
in maniera così scandita
e uniforme sebbene
nessuna di quelle
persone sia microfonata.

Prendete come esempio
i pubblici di Zelig
o di un qualsiasi reality:
oltre a sentirsi forte
e chiaro, l’applauso/risata
ha un inizio e una fine
ben definita.

Ora, se vi capita,
come certamente vi capiterà,
vedete uno spettacolo
di cabaret estivo,
di quelli all’aperto,
trasmesso da un’emittente locale
e notate se gli applausi
A) si sentono bene
B) iniziano e finiscono insieme,
o se c’è almeno una persona
che attacca e stacca
prima/dopo rispetto agli altri.

Questo per dirvi che l’80%
(e mi tengo basso) degli
applausi/risate del pubblico
in televisione sono registrati
e mandati in onda dalla regia
al momento opportuno.

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Ho notato che i rapporti
sentimentali finiscono
quando non ci sono più baci.

I baci sono diversi dal sesso,
il sesso è un atto egoistico,
lo si fa sempre e comunque,
e soddisfa una esigenza personale,
diversamente dal bacio,
che è un atto altruistico.

Un bacio non ci provoca piacere fisico,
lo si da per liberare un sentimento
e possiamo quindi considerarlo
come un reale indicatore amoroso.

Una volta che i baci finiscono,
la voglia di baciarsi in pubblico finisce,
ovvero la voglia di condividere
con gli altri il proprio amore,
e a restare è invece solo il sesso,
fossi in voi,  inizierei a preoccuparmi…

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A imperversare per ragioni ignote
è la ruffianeria televisiva
nei confronti dei napoletani.

Sovente, infatti,
anche in maniera forzata
e del tutto pretestuosa,
possiamo ascoltare in svariati
programmi frasi del tipo:

“lo splendido pubblico partenopeo”,
“Napoli è una città meravigliosa”,
“un saluto a tutti i napoletani”.

Premesso che Roma è oggettivamente
molto più bella, grande
e importante di Napoli,
vi ricordate frasi simili
riferite alla città eterna
o al suo popolo? No.

La ruffianeria verso
Napoli è unica nel suo genere,
non esistono altre città
a cui si riserva tale
trattamento privilegiato.

Una spiegazione sul perchè
ho cercato di darmela:
avete presente quando qualcuno,
sapendo che vi fa piacere,
vi fa un complimento ma in realtà
sta solo prendendovi in giro
o puntando a un secondo fine?
Ecco, io credo
succeda proprio questo.

I Napoletani sono esaltati.
Pur avendo la faccia nell’immondizia,
disoccupazione alla stelle,
la camorra sotto casa
e l’odio di mezza Italia addosso
si sentono importanti.

Il presentatore televisivo,
dunque, facendo leva proprio
su questo aspetto, cerca
di far diventare il programma
“Napoli friendly” in modo tale
da catturare su di esso l’attenzione
del numeroso pubblico partenopeo
(e quindi portatore di ascolti)
che in quella trasmissione
è certo di ottenere una ribalta nazionale.

Roma sa di essere importante,
è inutile stare a rimarcarlo,
mentre Napoli non lo è,
e, per innalzarsi,
ha costantemente bisogno
di qualcuno che,
almeno a parole,
sostenga il contrario.

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Col mondo dello spettacolo abbiamo
cominciato a conoscere e apprezzare nuove figure.

Una di queste è colui che mettendoci
la faccia si accolla in prima persona tutti gli onori
e (soprattutto) gli oneri che ne deriveranno dalla messa
in onda di un programma televisivo:
il presentatore.

Ogni quiz televisivo che si rispetti,
ha un presentatore che veste bene, sorride a tutti,
stringe la mano al primo arrivato
e gli dice che ha piacere di fare la sua conoscenza.
Oppure gli dice qualcos’altro di convenzionale,
ma utile ad avviare la conversazione
e a far conoscere al pubblico l’antefatto
della vicenda che si svolgerà.

Poi questo importante personaggio,
facendo finta di avere un gran desiderio di apprendere,
gli rivolge, sempre sorridente, domande del tipo:
«Quanti anni ha? Da dove viene?».
Il candidato risponde, naturalmente.
E dice che proviene da… Alberobello.
Chissà quanto gliene importa al Gerry Scotti di turno
che costui sia arrivato fin lì da Alberobello!
Non gliene importa proprio nulla.
Però fa finta di interessarsi,
e incalza con altre domande:
«Quanti abitanti ha Alberobello? Chi è il santo patrono? Quando lo si festeggia?».
L’interrogato risponde.

Dopo questo preambolo il presentatore
prega il candidato di esibirsi;
quel poveretto si aggiusta sulla sedia
e si mette a sfoggiare davanti a tutti
ogni singola sfumatura della propria personalità
o la grandezza del suo sapere,
a seconda dei momenti richiesti dallo show.

Il pubblico applaude con generosità insospettata e insospettabile.

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Singolare l’uniformità di comportamento
del pubblico presente negli studi televisivi:
esso applaude a comando.

Il pubblico dei cinema non applaude e non fischia.
Il pubblico della televisione invece
si trova in una particolare situazione di invitato & ospite:
per un certo verso è tenuto ad  applaudire.

E così, quando lo “scaldapubblico” comincia a incitare,
oppure quando il presentatore dice:
«facciamo un bell’applauso di incoraggiamento alla signorina»,
il pubblico si mette a battere le mani
ubbidiente e convinto come tante foche monache,
ma non solo, quelli che più desiderano per sé
l’obiettivo delle telecamere sollevano le mani
non appena si accorgono d’essere inquadrati (Festivalbar).

Il pubblico inoltre, se il programma è di suo gradimento,
tende a fidelizzarsi attraverso e-mail,
iscrizioni ai forum ufficiali, alle chat, ai gruppi su Facebook,
dove può liberamente dare giudizi sulla trasmissione,
consigliare, criticare, comperare gadget
e persino confidare le sue pene e le sue gioie
agli altri iscritti della community.

Quel programma diventa una sorta di Status Symbol,
un modo d’essere che ci rappresenta,
uno stile di vita.

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Pubblico Sovrano

Dal Popolo Sovrano,
Al Pubblico Sovrano.

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Un genere che ha riscosso successo
è senza ombra di dubbio la “telescuola”.

All’esordio di programmi tipo Amici o X-Factor
si videro professori e alunni destreggiarsi
in aule riprodotte quanto più fedelmente
possibile a quelle scolastiche.
Ma essi si comportavano solo all’apparenza
come insegnanti e come alunni:
in realtà erano teleinsegnanti e telealunni.

Non erano quindi come in genere
sono quando sono loro, nella loro quotidianità;
ma erano come tutti coloro che,
quando si trovano davanti a un pubblico che li guarda,
si comportano in una particolare maniera.
Essi sapevano di avere mille occhi addosso e ne traevano,
consciamente o inconsciamente, determinate conseguenze.

Lo sguardo altrui condiziona in maniera
inevitabile il comportamento dell’uomo,
questo fatto è proprio, non della televisione,
ma della vita umana in quanto tale.

Già nel 1909, Cooley (1864 – 1929), noto psicologo sociale,
con la sua teoria “dell’Io riflesso”
sosteneva che noi siamo come gli altri ci vedono,
cioè in base gli stimoli che mandiamo all’esterno
ricaviamo dei feedback positivi o negativi
che ci permettono di conformarci ai comportamenti
che la società si aspetta da noi;
ne consegue quindi un’identità umana frutto
di queste continue interpretazioni di feedback.

Gli alunni della telescuola hanno un contegno;
misurano i gesti; sono perfettamente educati,
buoni per definizione, paralizzati da un’invisibile disciplina
imposta loro da milioni di telespettatori.

In questo contesto decoroso può succedere
che schizzi però fuori il telealunno ribelle
che infiaschiandosene delle regole e del buongusto
mandi a quel paese il teleinsegnante e,
incredibilmente, questa variabile impazzita ti vince il programma
(vedere Marco Carta in Amici del 2008).

Il pubblico col passare degli anni ha mostrato
evidenti segni di stanchezza verso questo falso perbenismo,
ed ha finito per premiare non tanto il più bravo,
ma il più vero, quello che cioè,
lungo tutto il percorso televisivo,
ha finto meno rispetto agli altri o, al limite,
è riuscito a farlo credere meglio.

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Nei programmi facenti parte della “tv del dolore”,
come ad esempio C’è posta per te, Stranamore, Carramba, ecc…
ci troviamo davanti a quell’uomo qualunque,
scelto come rappresentante del costume italiano,
il quale viene chiamato a snocciolare davanti
a una platea immensa i suoi più intimi segreti,
innocente e cordiale fino all’inverosimile.

Dice a tutti dove si è conosciuto con sua moglie,
il perché si sono lasciati,
quante volte alla settimana copulava con lei
e così via di seguito fino ai limiti della decenza.

Quindi il presentatore fa entrare
la dolce metà del pentito… ehm… individuo,
che format vuole sia fisicamente separata
dal quasi ex familiare da un qualcosa di gigantesco:
un megaschermo, un’enorme busta della posta o una semplice porta,
in modo tale da non permettere ai due
di avere qualsiasi corrispondenza d’amorosi sensi
prima che l’intermediario/presentatore riesca nell’infausto compito
di spettacolarizzare/sharizzare il tutto.

Qualche altra verità sputtanata davanti
a 12 milioni di telespettatori (viva la privacy),
lacrime a volontà, coro del pubblico a favore
del perdono\pietà del peccatore e poi finalmente
si arriva al termine della vicenda.

In caso di happy end (la maggior parte delle volte),
le anime gemelle si stringono in un forte abbraccio
e nel più fortunato dei casi
(televisivamente parlando) si baciano.

Milioni di spettatori, nelle buone e timorate famiglie italiane,
stanno a così guardare divertiti
perché ritrovano nei piccoli casi
di quelle creature parti di loro,
lo spettatore medio si riconosce nell’attore,
e vive per alcuni istanti in comunione con lui.

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Sport Italia è un’emittente furbissima.

Tratta argomenti sportivi,
quindi rivolti a un pubblico prettamente maschile,
di conseguenza le sue giornaliste,
Ballarini a parte (che è comunque un bel tipino),
sono tutte delle strafighe esagerate,
stravaccate mezze nude sopra a un divano
anche il 15 di dicembre (riscaldamenti a manetta),
che vengono inquadrate, attenzione, dal basso
per valorizzarne la fisicità, ma soprattutto le gambe,
mai un primo piano o un mezzo busto.

Ah, Valentina Ballarini sul divano non l’ho mai vista…

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